Il dopo Brexit. Effetti socio-politici

Brexit: Much Ado About Nothing?

 

di Olivier Butzbach Docente di Economia Politica internazionale Dipartimento di Studi Politici "Jean Monnet"

Nella famosa commedia di Shakespeare, l’inganno, la duplicità, e il misunderstanding tra i vari personaggi non ostacolano il trionfo finale dell’amore, pur avendo fatto credere, in un primo momento, al naufragio delle aspirazioni sentimentali dei singoli individui. Così potrebbero rivelarsi le conseguenze del Brexit per il Regno Unito (e per l’Unione europea). Di fronte alla promessa di cataclismi da ambedue le parti durante la campagna referendaria (conclusa, come sappiamo, dalla vittoria del “Leave” nel referendum del 23 giugno scorso), i primi effetti economici e sociali del Brexit sembrano ancora molto lievi. Ma, dicono le Cassandre, il peggio sta per arrivare.

Per accertare la probabilità del peggio, a meno di un mese dall’esito del referendum, dobbiamo iniziare dai fatti.

Al momento della stesura finale di questo breve testo (il 16 luglio), gli effetti economici diretti attribuibili senza ambiguità al Brexit sono tre: (i) un brusco deprezzamento della sterlina rispetto alle altre monete; (ii) problemi finanziari consistenti per fondi di investimento specializzati nel mercato immobiliare; (iii) una caduta del valore azionariale di alcune società quotate, tra cui le banche britanniche (meno 20% da fine giugno ad oggi).

Tutti e tre questi effetti devono essere correttamente contestualizzati.

Il deprezzamento della sterlina si iscrive in una lenta svalutazione iniziata anni fa: dal 15 giugno al 15 luglio, la sterlina ha perso “solo” il 6,7% rispetto al dollaro statunitense – e poco più di 5% rispetto all’euro. I titoli dei giornali che sottolineano come la sterline abbia raggiunto il suo livello più basso da trent’anni con la moneta statunitense sono corretti, ma dimenticano che il Brexit spiega solo una parte di questa caduta. Più inquietante è l’aumento della volatilità della sterlina sui mercati valutari. 

Per quanto riguarda i fondi immobiliari, sette tra i più grandi di questi fondi hanno già, dalla fine di giugno, adottato misure per evitare problemi di liquidità – come la sospensione del trading sulle quote di investimenti in questi fondi. Il mercato immobiliare, sia residenziale (nella fascia alta), sia commerciale, è infatti direttamente minacciato dal disimpegno di imprese e grande fortune europee. Però questo porrebbe fine a una bolla finanziaria e immobiliare formatasi anni fa. In realtà, le conseguenze più dannose le potrebbero subire le grandi banche europee che da anni hanno insediato a Londra le loro divisioni che si occupano di operazioni su mercati di capitale: con la possibilità perdita del “passaporto” europeo, quelle divisioni potrebbero dover ricapitalizzarsi in fretta – per costi che un recente studio del Boston Consulting Group stima a varie decine di miliardi di euro.

Non stupisce la natura finanziaria dei primi effetti del Brexit, e ciò per due ordini di motivi: (i) i mercati finanziari sono notevolmente reattivi agli shock di questo tipo, sia perché è l’informazione la merce primaria scambiata su questi mercati, sia perché le transazioni finanziarie sono velocissime, grazie alle potenti tecnologie impiegate; (ii) sugli altri mercati (nell’economia “reale”), gli aggiustamenti nel comportamento degli agenti economici sono molto più lenti.
Il danno principale del Brexit, a questo punto, sembra essere proprio l’incertezza che ha generato, che pesa sull’insieme delle transazioni del Regno Unito con l’estero. L’impatto di questa incertezza non può essere sottovalutato. Ma non deve neanche essere esagerato, dato il carattere non univoco degli effetti netti del Bexit sull’economia britannica e su quella dell’UE. Infatti, per alcuni settori dell’economia britannica, l’effetto del deprezzamento della sterline sarà sicuramente positivo. E’ il caso, ad esempio, dei famosi studi cinematografici di Pinewood (la Cinecittà inglese, dove sono stati girati gli ultimi James Bond o vari Star Wars), che si sono pubblicamente vantati di essere diventati ancora più attraenti, come location, dopo il Brexit.

Sarà interessante osservare, in particolare (e soprattutto per la nostra piccola comunità accademica), le conseguenze del Brexit sui rapporti tra il mondo universitario britannico e quello continentale. I segni più negativi provengono dal campo dei finanziamenti alla ricerca scientifica. I giornali britannici hanno riportato casi (aneddotici, ma forse significativi) di studiosi britannici ai quali si è chiesto di ritirarsi da progetti di ricerca finanziati dall’UE, o da consorzi di ricerca che fanno attualmente domanda di fondi UE. Questo rischio, legato all’incertezza menzionata sopra, è stata in particolare paventato da Lord Patten, il rettore dell’Università di Oxford, in un recente discorso. In gioco è l’avversione al rischio da parte di partner europei impegnati nel processo molto concorrenziale, che molti di noi conosciamo, per ottenere finanziamenti europei per le nostre ricerche.

Nel campo della mobilità degli studenti, l’incertezza è ancora maggiore. Certo, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea potrebbe portare, a termine, alla chiusura dei programmi di mobilità intra-UE (come quello Erasmus) che consentono a studenti europei di studiare nei vari atenei britannici senza dover sborsare le ingenti somme pagate dai loro compagni britannici per l’iscrizione all’Università. Dall’altro campo, il deprezzamento della sterlina rende questi costi meno esorbitanti. Non è chiaro, quindi, se e quanto la destinazione del Regno Unito diventerà meno attraente per gli studenti europei. Le conseguenze di un eventuale deflusso di studenti europei nel Regno Unito sono ancora meno evidenti. Nell’anno accademico 2014-15, secondo i dati ufficiali pubblicati dalla Higher Education Statistics Agency, erano 436.585 gli studenti stranieri presenti negli atenei britannici. Di questi 124.525, cioè un po’ più del quarto, erano studenti UE. Distinguendo i singoli paesi d’origine degli studenti stranieri nel Regno Uniti, vediamo quanto i paesi dell’UE (la Germania, con 13.675 studenti; la Francia, con 11.955 studenti; l’Italia, con 10.525 studenti) contano poco rispetto a paesi extra UE come la Cina (89.540 studenti!), l’India, la Nigeria, la Malaysia, gli Stati Uniti… Staremo a vedere. O, parafrasando le parole di Benedick, le ultime della commedia di Shakespeare, “Think not on [that] till tomorrow”.