Binomio, giustizia e mass media, Giovanni Melillo in cattedra all'Università Vanvitelli

“Il rapporto tra giustizia e informazione ha una criticità importante: il controllo sociale esercitato dall’informazione è massimo nella fase delle indagini preliminari, che dovrebbe invece essere segreta, ed invece è minimo nella fase del processo perchè l’attenzione dei media si allontana. Quindi le indagini preliminari si caricano di valore assertivo che invece dovrebbe essere proprio della fase processuale.” Inizia così l’intervento di Giovanni Mellillo, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, ospite dell’Università della Campania nell’ambito del ciclo di conferenze Dialoghi oltre le due culture. Tema dell’incontro il ruolo della giustizia penale unito all’aspetto dell’informazione. Mellillo centra il primo problema della complicata relazione fra giustizia e organi di informazione e aggiunge: “Le cause di questa patologia sono complesse, ma questa criticità rappresenta il maggior fattore di distorsione e di ostacolo ad un corretto bilanciamento tra libertà di informare e diritto di essere informati.”

Traccia un solco fra quelli che lui definisce due tipi contrapposti e coesistenti di processo: quello ordinario e quello mediatico riprendendo le tesi di due giuristi....: “Esistono differenze sostazioni fra il processo ordinario e il processo mediatico: Il processo ordinario si svolge in tribunale, un luogo a ciò deputato, il processo mediatico è un processo delocalizzato si svolge dovunque; il processo ordinario ha un iter scandito dalla legge, ha quindi un suo ordine preciso, il processo mediatico per definizione non ha nessun ordine se non quello richiesto dalla ricerca dell’ascolto e del consenso del pubblico; il processo ordinario ha un tempo ma mira ad una sentenza definitiva, finisce in un giudicato, Il processo mediatico non finisce mai ed è pronto a mettere in discussione continuamente anche le decisioni definitive; Il processo ordinario seleziona meticolosamente il materiale che può essere utilizzato per prendere una decisione, vi è una continua e rigorosa selezione delle conoscenze idonee a formare la decisione del giudice, il processo mediatico, che è stato definitio un processo bulimico, si nutre di qualsiasi cosa di qualsiasi conoscenza, indiscrezione e di fuori onda, quasta bulimia va in collisione con il processo ordinario perchè di fatto può alterare anche la genuinità delle prove da assumere nel contraddittorio.”

Melillo non tralascia però l’altro versante dl problema ossia quello legato agli organi di stampa riprendendo le parole di Luigi Ferrarella, giornalista del corriere della sera in quel tema che lui definisce “Ecologia della professione giornalistica, dove traccia due profili estremamente delicati: il primo attiene alla pretesa del giornalista di pubblicare qualunque cosa arrivi nel proprio ambito di conoscenza a prescindere di qualcunque conseguenza può avere la pubblicazione, il secondo versante attiene all’ambito deontologico, ossia ai trucchi utilizzati dal gionalismo, come l’omissione, insomma tutti quegli accorgimenti che si utilizzano per nascondere o ingigantire le circostanze prive, come le campagne orchestrate per ragioni politiche o commerciali.”

Di fatto Melillo identifica il problema anche nella mancanza di chiarezza delle informazioni fornite dall’organo giustizia, che di solito sono incomprensibili alle masse.

“Comunicare efficacemente e nel modo deontologicamente corretto: non è una cosa facile - continua -esistono modi deontologicamente scorretti ma perfettamente efficienti, al contrario modi deolontologicamente adatti ma privi di qualsiasi interesse per i mass media.”

Serve quindi trovare quasi una forma alchemica, così definita da Melillo, per assicurare l’equilibrio fra efficacia e correttezza delle informazioni. Così come bisogna trovare un equilibrio fra le cose taciute e le cose divulgate. “Non è possibile serbare il silenzio e non è possibile dire tutto”.

Poche sono le leggi che regolano questo contorto rapporto: “ La comunicazione deve essere curata personalmente dal Procuratore della Repubblica o da un suo delgato. Ogni informazione data dalla Procura è fornita senza citare i magistrati che si stanno occupando del procedimento, cosa che di fatto però non è possibile fare.”

Come uscire dall’impasse? “Perdurando il segreto tutto dovrebbe rimanere celato ma appena il segreto non è più tale tutto dovrebbe essere pubblicato.”

C’è anche però chi sostiene che dovrebbe essere riconosciuto al giornalista un limpido accesso alle informazioni, cosa che comunque mette a rischio varie parti del procedimento.

Altro limite è la poca informazione riguardo certi tecnicismi del lavoro del pubblico ministero, sono ignorate dalla grande maggioranza della popolazione le modalità e la struttura che compongono l’ufficio del Pubblico Ministero.

Ma come l’entità giudiziaria prende in considerazione indagini e ricostruzioni fatte dai media? In particolare uno studente si rivolge a Melilllo chiedendo della vicenda Fanpage: “non posso parlare della vicenda, l’unica cosa che posso dire che diventerà certamente un caso di studio, poichè è una vicenda senza precendenti.”