Dramma Rigopiano, le ragioni del disastro ed il ruolo della Protezione civile

Slavina, valanga, frana … tre vocaboli per descrivere due semplici fenomeni naturali molto simili, entrambi strettamente collegati all’azione della forza di gravità, che modellano il paesaggio delle aree montuose della Terra e spesso (come purtroppo successo negli ultimi giorni) possono trasformarsi in vere e proprie catastrofi naturali.

Entrambi sono movimenti di materiale che scivola dall’alto verso il basso lungo pendii inclinati e si va a depositare in accumuli, anche volumetricamente importanti, alla base dei rilievi montuosi e nelle aree depresse circostanti.

Nel caso delle valanghe o delle slavine (i due termini sono, di fatto, sinonimi) il materiale mobilizzato consiste in masse di neve o ghiaccio che si staccano dalla sommità di un versante e precipitano violentemente a valle aumentando progressivamente di dimensioni e volume, trascinando con sé altra neve e detriti, trovati lungo il percorso, e travolgendo tutto ciò che incontrano sul loro cammino.

Le cause del distacco possono essere numerose e diverse: da naturali (dovute a un sovraccarico nevoso, a un aumento della temperatura, a infiltrazioni d’acqua, a vibrazioni acustiche, a forti venti o al passaggio di animali in zone critiche) oppure umane (nel caso di passaggio di sciatori, alpinisti o veicoli in un punto meno stabile del manto nevoso).

Nel caso delle frane, invece, il movimento interessa masse di materiale solido (rocce, terreni o detriti) che, in condizioni di instabilità, vengono trascinate verso il basso per effetto della sola forza di gravità.

Per quanto detto, è evidente che il fenomeno delle valanghe interessa aree montuose soggette a innevamento ed è quindi circoscritto a rilievi montani generalmente di alta quota e a periodi dell’anno che vanno dalla stagione invernale al massimo a quella primaverile. Viceversa, i fenomeni franosi interessano qualsiasi rilievo montuoso in equilibrio instabile (a prescindere dalla quota topografica o dalla latitudine) in qualsiasi periodo dell’anno (anche se tendenzialmente si manifestano prevalentemente in autunno o in primavera). Sono, pertanto, questi ultimi i principali agenti modellanti che agiscono sul paesaggio montano (ma anche collinare) di qualsiasi regione della Terra.

Il territorio italiano è costituito per più di tre quarti da zone collinari (41,6% del territorio) e montuose (35,2%) e soltanto il 23,2% del nostro Paese può essere attribuito ad aree di pianura. Ne consegue che la pericolosità da frana è uno dei più importanti fattori di rischio naturale col quale noi Italiani dobbiamo convivere. Infatti, l’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia (Progetto IFFI – realizzato dal Servizio Geologico d’Italia-Dipartimento Difesa del Suolo dell’ISPRA e dalle Regioni e Province Autonome) ha censito 614.799 frane per un’area di circa 23.000 km2, pari al 7,5% del territorio nazionale.

Le diverse tipologie di frana, che vanno dai fenomeni di crollo a quelli per scivolamento fino a quelli per colamento (in Italia tristemente noti per via degli eventi di Sarno), si manifestano al concorrere di cause predisponenti (o strutturali) e scatenanti (od occasionali). Le prime sono connesse a fattori intrinseci di instabilità (geologici, morfologici, idrogeologici), quali forma e dimensione dei corpi geologici, tipi litologici, stato di fratturazione, presenza e orientazione di superfici di discontinuità, alterazione delle rocce, grado di permeabilità, pendenza dei versanti, che risultano caratteristici di un versante e rimangono invariati nel corso del tempo. Le altre agiscono su un pendio intrinsecamente “indebolito” determinando l’alterazione degli equilibri naturali e sono così definite perché innescano il movimento franoso (intense precipitazioni, attività sismica, azione delle acque superficiali e profonde, e non ultima l’attività antropica).

I movimenti franosi, quindi, si verificano in una determinata area per effetto della concomitanza di diversi fattori sfavorevoli alla stabilità di un versante. Tenendo conto che la maggior parte delle frane si sviluppa in tempi troppo brevi per poter intervenire mentre il fenomeno è in corso, appare evidente che, in una corretta analisi previsionale del “rischio frana”, la determinazione e il controllo di tali fattori aiuta a mitigare il danno all’uomo generato dal ripetersi di tali eventi.

Analizzando quanto accaduto in centro Italia nelle ultime settimane, il ritorno dell’inverno associato a condizioni meteorologiche estreme ha messo sotto i riflettori, come avviene oramai da anni, la vulnerabilità del territorio e l’accadimento di catastrofi naturali.

Le temperature polari registrate e le abbondanti nevicate hanno messo in ginocchio le regioni dell’Italia centrale, quelle purtroppo già violentemente colpite dagli ultimi eventi sismici del 24 Agosto e del 26 Ottobre 2016.

Il peggio però doveva ancora arrivare. Peggio inteso come discussioni, senza fine, soprattutto grazie alla cassa di risonanza dei media, su chi siano i responsabili per le 29 vittime dell’albergo Rigopiano: la Protezione Civile? L’autorità, intesa soprattutto come prefettura, che non ha compreso quanto stesse avvenendo? I proprietari dell’albergo insieme a coloro che hanno concesso i permessi e probabilmente non hanno realmente controllato il sito? Gli esperti che non hanno fatto con coscienza una relazione tecnica prima della costruzione dell’albergo?

Analizzando il poco che si sa, ed è veramente poco, la protezione civile e la prefettura non hanno alcuna responsabilità. L’informativa (l’allarme dato via mail/fax e poi via telefono) sulla situazione dell’albergo, era solo e soltanto legata all’impossibilità dei clienti di lasciare l’albergo. Le strade erano coperte da diversi metri di neve ed impraticabili. E’ ovvio che la priorità dovesse andare a tutti quei casolari isolati da giorni e senza più viveri o gasolio per riscaldarsi. Non si poteva dare la priorità all’albergo solo perché isolato, avendo a disposizione viveri e gasolio. La slavina non era e non è mai stata presa in esame, né da chi stava in albergo, né da quelli che avrebbero dovuto rendere agibile la strada ed evacuare i clienti dell’albergo.

Solo e soltanto su questo si deve discutere per quanto riguarda i soccorsi.

Al contrario è piuttosto banale, anche per un non esperto, capire che l’albergo era costruito in una posizione sicuramente bellissima ma certamente infelice, posto ai piedi di un canalone, evidenziando “de facto” il vero target di una qualunque possibile frana e/o valanga. E’ anche singolare, ma anche tipicamente Italiano, che solo dopo la slavina si venga a sapere che l’albergo era costruito su detriti di possibili frane avvenute in tempi storici. Altrettanto “casualmente” si registra su www.cronachemaceratesi.it che forse, la presenza di alberi molto giovani lungo il canalone potrebbero essere evidenza di “recenti” slavine … ma anche di frane aggiungiamo noi.

E’ necessario comunque fare un altro distinguo. La slavina non ha niente a che vedere con le frane avvenute in precedenza. Infatti, la slavina parte da grandi volumi di neve fresca non stabilizzata caduta in maniera anomala, non mobilizza il substrato, ma solo quanto trova sul suo percorso, quindi in superficie, prima di arrivare a valle. E’ possibile dunque determinare che un’area può essere soggetta a frane, è molto più complesso farlo per una slavina, nel caso non si abbiano dati storici. Per l’albergo non se ne avevano, e dunque il primo evento è stato anche l’ultimo e l’albergo non esiste oramai più. I due disastri non sono collegabili se non in maniera puramente casuale.

Sembra invece doveroso, ringraziare la protezione civile (ci è invidiata nel mondo per le sue capacità) e le autorità che non hanno smesso di prodigarsi per la popolazione allo stremo. Non solo in questa occasione, SEMPRE. Al contrario sarebbe da paese civile porre rimedio ai tanti abusi edilizi che costellano il nostro territorio, da sud a nord, e mettere mano una volta per tutte alla messa in sicurezza di quelle aree soggette frequentemente a disastri naturali.

Questo darebbe finalmente al paese uno status diverso, non dovremmo piangere sempre vittime innocenti, faremmo meno dietrologia e si potrebbero creare, tanto per cambiare, nuovi posti di lavoro per giovani laureati.

Un cambiamento epocale che ci aspettiamo da tempo ma che continua colpevolmente a tardare.

 

Approfondimento di Maurizio SIRNA e Dario TEDESCO - Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Biologiche e Farmaceutiche