Parkinson e arteterapia, alla Vanvitelli la Giornata nazionale Parkinson si trascorre al Museo Gallerie d’Italia – Napoli Fondazione IntesaSan Paolo e Civita Mostre e Musei, per un incontro divulgativo per pazienti e familiari, dove verranno analizzati e rivisti i risultati di laboratori di arteterapia che si sono svolti a cadenza mensile nel corso dell’anno presso il Museo in collaborazione con l’associazione con Parkinson Parthenope.

Questo perché “La letteratura scientifica sul tema negli ultimi anni dimostra che, accanto al protocollo tradizionale farmacologico e riabilitativo – spiega Alessandro Tessitore, docente in Neurologia alla Vanvitelli – esistono una serie di attività complementari ludico terapeutiche molto utili, come l’arteterapia effettuata dai nostri pazienti durante quest’anno,  che si rivelano particolarmente efficaci nel contrastare l’evoluzione dei sintomi della malattia e lo stigma che deriva dal ricevere la diagnosi di una patologia neurodegenerativa come quella del Parkinson, sicuramente invalidante”.

Mettere in connessione arte e pazienti è un ottimo modo per favorire il dialogo, migliorare la propria condizione psichica e la qualità della vita, anche se da ammalato.

Si potrà accedere ai laboratori presso Gallerie d’Italia, in via Toledo 177, Napoli sabato 25 novembre dalle 9.15

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A cura del professor Giovambattista Capasso

Ordinario di nefrologia presso la Università Vanvitelli e Direttore Scientifico di Biogem, centro di ricerca in Biologia Molecolare e Genetica di Ariano Irpino.

Rene e cervello, quali connessioni? E' questo il tema della prima conferenza internazionale dal titolo Brain and kidney interaction, sul rapporto Rene - Cervello che si terrà a Napoli il 23 e 24 novembre.  Al convegno parteciperanno una folta schiera di eminenti studiosi appartenenti a diverse discipline mediche così come si addice quando si affronta un tema di punta del sapere medico.

I dati epidemiologici indicano un significativo aumento del numero di pazienti affetti da malattie renali croniche (MRC). Questa tendenza è evidente in tutte le fasce d'età, ma è particolarmente pronunciata tra gli anziani. La MRC è una condizione complessa e potenzialmente pericolosa per la vita che colpisce tutti gli organi, portando a alterazioni nei parametri fisiologici fondamentali, come il volume plasmatico, gli elettroliti, l'equilibrio acido-base, gli ormoni e il metabolismo proteico. Date le comorbilità associate, l'approccio terapeutico preferito prevede una strategia multidisciplinare che includa l'uso appropriato di farmaci e interventi adattati alle specifiche esigenze nutrizionali”.

Nel 30-60% dei casi di MRC avanzata, i pazienti presentano disturbi cognitivi. Queste persone spesso soffrono di vari sintomi che colpiscono sia il sistema nervoso centrale che quello periferico. Il deficit più osservato è la lieve compromissione cognitiva (MCI), caratterizzata da lesioni neurologiche e disfunzione cognitiva. È importante notare che l'MCI è già diffuso nelle fasi iniziali dell'insufficienza renale ed è significativamente più comune tra i pazienti affetti da MRC rispetto agli individui della stessa fascia d'età nella popolazione generale.

Nel campo attuale delle neuroscienze, ci sono numerose innovazioni che hanno notevolmente ampliato le nostre conoscenze, tra cui nuove tecnologie di imaging applicabili sia a modelli animali che umani. Inoltre, sono disponibili test cognitivi innovativi e gli approcci omici sono ampiamente utilizzati nella ricerca neuroscientifica.

Purtroppo, la collaborazione interdisciplinare mirata a comprendere la natura e l'origine dell'MCI-MRC è stata piuttosto limitata. Molte domande fondamentali su questa condizione sono rimaste senza risposta o, peggio ancora, sono state trascurate e non affrontate. La conseguenza grave di ciò è l'assenza di qualsiasi terapia patogenetica finora.

Pertanto, l'obiettivo primario di questa conferenza è riunire rinomati relatori internazionali provenienti da diversi campi per collaborare nel comprendere i meccanismi ed esplorare future opzioni terapeutiche per questa emergente entità clinica. Inoltre, c'è la speranza che una miglior comprensione dell'interazione tra il cervello e i reni possa migliorare la nostra comprensione di altre malattie neurologiche.

Programma

Un test genetico per curare efficacemente i neonati colpiti dall’asfissia perinatale. Potrebbe essere questa la strada per migliorare le strategie terapeutiche per un evento che rappresenta ad oggi la principale causa di morte e neurodisabilità nel neonato a termine. Evento del tutto inatteso che si verifica al momento del parto a causa del mancato apporto a livello cerebrale di sangue e ossigeno.

Nuove prospettive le ha aperte lo studio di un team di ricercatori guidato da Paolo Montaldo, dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, in collaborazione con il team dell’Imperial College London, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Jama Network (Whole-Blood Gene Expression Profile After Hypoxic-Ischemic Encephalopathy | Pediatrics | JAMA Network Open | JAMA Network).

La ricerca si è focalizzata sulle differenze nei profili di espressione genica nei neonati affetti da asfissia perinatale nati nei paesi sviluppati e neonati nati in India, Sri Lanka e Bangladesh così da comprendere perché una popolazione (la prima) beneficerebbe del trattamento ipotermico e l’altra (quella del Sud Asia) no. Dallo studio è emerso infatti che il profilo di espressione genica subito dopo la nascita, associato ad outcome avverso, è significativamente differente: nel caso dei nati nei paesi in via di sviluppo, si tratterebbe di un’asfissia non acuta ma bensì di un processo di sofferenza che inizierebbe già nel grembo materno, e quindi al di fuori della finestra di efficacia del trattamento ipotermico.

“Abbiamo evidenziato – spiega Montaldo – che nel caso dei neonati del Sud Asia si tratta di un processo che si instaura più lentamente, tanto da persistere nel tempo. Probabile, che altri fattori agiscano nei paesi in via di sviluppo come malnutrizione, basso peso alla nascita ed insufficienza placentare. Questo cambia l'efficacia delle strategie di neuroprotezione che noi usiamo. Ad esempio, l'ipotermia terapeutica che consiste nel ridurre la temperatura corporea a 33.5°C per 3 giorni, ha un'efficacia estrema solo se iniziata entro alcune ore dall'instaurarsi dell'ipossia acuta perché agisce rallentando il metabolismo cerebrale. Se tuttavia l'ipossia si instaura più lentamente ed in maniera non acuta, il danno cerebrale è mediato soprattutto da un processo di stress ossidativo e flogosi”.

Ecco perché avere un test genetico che possa un domani dare queste informazioni, potrebbe guidare i medici sulla migliore strategia terapeutica. “Attualmente – continua Montaldo - la terapia elettiva è rappresentata dall’ipotermia terapeutica, che consiste nel ridurre la temperatura corporea del neonato poco dopo la nascita, così da limitare i danni dell’insulto ipossico-ischemico. Tuttavia, nonostante questo trattamento, oggi oltre 2 milioni di neonati presenta danni cerebrali permanenti. Pertanto, l’ipotermia terapeutica da sola sembrerebbe essere solo parzialmente efficace e addirittura di nessuna efficacia per i bambini nati nei paesi in via di sviluppo, sui quali invece potrebbe essere più efficace l'eritropoietina “.

La sfida, dunque, è individuare quali sono i bambini che necessitano di un trattamento e come curarli al meglio. Questa ricerca, oltre a chiarire i meccanismi fisiopatologici alla base del danno ipossico ischemico, fornisce basi solide per future strategie terapeutiche con il potenziale di sviluppare un test nel sangue che guidi i neonatologi nel processo decisionale al fine di ottimizzare la strategia di neuroprotezione sia nei paesi in via di sviluppo come anche nei paesi sviluppati come il nostro.

 

Premio “Migliore Giovane Ricercatore italiano under 40” - nell'ambito del 76° Congresso Nazionale della Società Italiana di Anatomia e Istologia (SIAI), per Giovanni Cirillo, Ricercatore RTD-B e docente di Anatomia Umana nel Dipartimento di Salute Mentale e Fisica e Medicina Preventiva dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”. 

La commissione giudicatrice della SIAI presieduta dal prof. Lucio Cocco, Presidente della SIAI e Ordinario presso l’Università di Bologna, ha premiato il ricercatore napoletano/vesuviano, afferente al gruppo di ricerca dell’Ateneo Vanvitelliano “Laboratorio di Morfologia delle reti neuronali e dei sistemi biologici complessi, coordinato dal prof. Michele Papa, per l’eccellenza dei risultati ottenuti nella ricerca scientifica in campo
morfologico e per la qualità dell’attività scientifica nel campo delle Neuroscienze.

Presentazione dell’innovativa strumentazione alle ore 10 nella sede del Rettorato di Caserta

Una radioterapia, la BNCT – Boron Neutron Capture Therapy –, in grado di colpire solo le cellule malate risparmiando quelle sane, riducendo così le complicanze legate a questo tipo di terapia.  La BNCT sarà presentata il prossimo 14 settembre, nella sede del Rettorato di Caserta in viale Ellittico 31, dalle ore 10,  nell’ambito del progetto di ricerca Anthem  a valere sui Fondi complementari al PNRR e che ha come capofila l’Università di Milano Bicocca con la collaborazione dell’Università Vanvitelli e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). Interverranno il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, e il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca.

Un progetto che si struttura su 4 assi/obiettivi:

- Nuove tecnologie per migliorare l’assistenza sanitaria;

- Incremento della Telemedicina;

- Ricerca finalizzata al miglioramento delle terapie;

- Aggiornamento del parco tecnologico per la ricerca di base in campo oncologico.

E’ proprio su questo ultimo obiettivo che sarà realizzato entro un massimo di 4 anni il nuovo e rivoluzionario sistema di radioterapia BNCT che utilizza il Boro come sorgente di neutroni che permette di colpire solo le cellule neoplastiche risparmiando le cellule sane, rendendo molto più efficace, ma soprattutto più sicura, la radioterapia nel paziente oncologico e in particolare nel paziente oncologico anziano e fragile.

Sarà il primo macchinario del genere in tutto il Centro Sud Italia, il secondo in tutta Italia.

Nel Progetto, in particolare, l’INFN ha come obiettivo quello della costruzione della BNCT, mentre l’Ateneo Vanvitelli è impegnato per l’allestimento degli  spazi necessari per l’installazione: circa 2000 mq nei quali sono previste aree dedicate alla ricerca e ad attività cliniche per i ricercatori della Vanvitelli, idonei al contenimento e al funzionamento di tale strumento terapeutico di avanguardia mondiale. Strumento che farà della Regione Campania un centro di riferimento Europeo per la terapia oncologica.

“La realizzazione di questo progetto – ha commentato il Rettore dell’Università Vanvitelli, Gianfranco Nicoletti – farà della Regione Campania, e dunque del nostro Ateneo, un centro di riferimento Europeo per la terapia oncologica. Grazie ai fondi complementari al PNRR e alla sinergia con l’Università Bicocca e l’INFN, tanti ricercatori potranno lavorare con queste rivoluzionarie strumentazioni e sia la ricerca che le terapie cliniche beneficeranno di un parco tecnologico di così elevato livello. Sarà una punta di diamante in un’Università che già vanta diversi primati in campo oncologico e più in generale in quello della ricerca scientifica internazionale”.

“Il progetto Anthem, che nasce anche per abbattere le differenze tra i sistemi sanitari regionali – ha sottolineato la Rettrice dell’Università di Milano-Bicocca, Giovanna Iannantuoni –, intende promuovere un'innovazione non solo scientifica ma anche politica e sociale, nella logica della migliore valorizzazione possibile dei fondi del Piano Complementare. Riunendo eccellenze italiane sia pubbliche sia private su tutto il territorio nazionale, il consorzio Anthem si pone l’obiettivo di migliorare la salute e la qualità della vita delle persone e dei pazienti fragili, grazie a soluzioni di tecnologia avanzata, protocolli di monitoraggio a distanza e trattamenti di medicina personalizzata”. 

 Premio AIRCMO 2023 alla ricerca “Safety and Efficacy og Gene Transfer for Leber’s Congenital Amaurosis“ pubblicata su The New England Journal of Medicine e diretta da Francesca Simonelli, professore ordinario di Malattie dell'apparato Visivo dell'Ateneo Vanvitelli e responsabile dell'UOC di Oculistica. 

Il premio AIRCMO è assegnato a un'equipe di ricercatori che si sia particolarmente distinta nell'ambito specifico di studio applicativo. Nell’ambito delle iniziative volte a favorire la ricerca scientifica e medica, l’Associazione istituisce un premio biennale, da assegnare a un’equipe di ricercatori che si sia particolarmente distinta nell’ambito specifico di studio applicativo; finanzia inoltre centri di ricerca e favorisce la costituzione di comitati scientifici ad hoc. 

La valutazione scientifica e l’impatto “sociale/operativo” sono i cardini su cui ruota e vive la scelta delle ricerche destinate ad essere selezionate per il Premio AIRCMO.
Una giuria composta da affermati professionisti in ambito medico-scientifico, in forma completamente anonima, opera la scelta della ricerca migliore basandosi su una precedente selezione effettuata da consulenti scientifici. Solo dopo questa delicata e approfondita selezione viene individuata la ricerca da premiare

Una nuova terapia per combattere la sindrome Fanconi Bickel. La speranza arriva dallo studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Science Translational Medicine, realizzato dal gruppo di ricerca del Laboratorio di Nefrologia Traslazionale di Biogem e Università Vanvitelli guidato da Francesco Trepiccione, e riguarda una malattia ultra-rara, nota anche come Glicogenosi 11.

La nuova terapia, basata sulla somministrazione di un farmaco già in uso per il diabete mellito, è il frutto di un lavoro di sperimentazione realizzato nei laboratori di Biogem e offre nuove prospettive per i pazienti che sono esposti, nelle prime fasi della vita, a una disfunzione renale e ad un alto rischio di ipoglicemia severa e poi a problemi di accrescimento osseo e complicanze elettrolitiche, quali acidosi metabolica e ipopotassiemia.

‘’Un modello di questa malattia – spiega il professore Trepiccione - è stato generato nei topolini dello stabulario di Biogem e si è notato che in alcune cellule del rene, chiamate del tubulo prossimale, il glucosio, normalmente riassorbito, viene intrappolato e convertito in glicogeno, che, accumulandosi, mima l’effetto di una grossa spugna all’interno della cellula, rigonfiandola e alterandone severamente molte funzioni’’.

‘’Dopo aver capito, anche grazie a sofisticate apparecchiature in dotazione a Biogem (come la microscopia multifotoni), perché il rene si ammala – rivela Trepiccione - abbiamo avuto l’intuizione di preservare queste cellule, somministrando un farmaco, già in uso per il diabete mellito, che riduce la loro capacità di riassorbire ulteriore glucosio e quindi di intossicarsi (gluco-tossicità). I risultati ottenuti sono stati così promettenti che abbiamo traslato la nostra ricerca applicandola ad un paziente affetto dalla sindrome di Fanconi-Bickel e seguito nell’ambulatorio di tubulopatie rare del Policlinico Vanvitelli’’.

‘’Dopo tre mesi di trattamento – conclude il ricercatore della Vanvitelli - abbiamo osservato il miglioramento di alcuni indici e soprattutto l’assenza di eventi avversi che ne sconsigliassero l’utilizzo. Migliorava in particolar modo la fosforemia, fino a livelli difficilmente raggiunti con la terapia elettrolitica suppletiva del paziente. Ancora una volta le attività di ricerca frutto della collaborazione Biogem-Vanvitelli, si pongono al fianco di pazienti certamente ‘rari’, ma da oggi, probabilmente, un po' meno soli’’.

 

È stato presentato il 20 aprile presso l’Università di Milano-Bicocca l’Hub delle Tecnologie avanzate per la Medicina. 

La collaborazione che coinvolge 23 enti, tra cui l'Ateneo Vanvitelli, e di cui è ente promotore l’Università Milano - Bicocca, porta il nome di ANTHEM (AdvaNced Technologies for HumancentrEd Medicine) e permetterà di realizzare dispositivi e strumenti digitali per la raccolta dati a supporto di soluzioni di medicina di prossimità, sviluppare strumenti di monitoraggio e valutazione dei fattori ambientali, di stile di vita e patologici nelle popolazioni fragili e croniche e implementare metodologie di terapia oncologica per quei tumori che non possono essere trattati con approcci convenzionali,.

Colmare, con l’ausilio di tecnologie e percorsi multidisciplinari e innovativi, il divario esistente nell’assistenza sanitaria dei pazienti fragili e cronici all’interno di specifici territori caratterizzati da patologie orfane di terapie specifiche. È questo l’obiettivo principale che il progetto si prefigge di raggiungere nei prossimi quattro anni grazie alla partnership con 9 università, enti di ricerca e di assistenza sanitaria pubblici e privati e a un investimento complessivo di oltre 123 milioni di euro, finanziato dal Piano complementare al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)

L’investimento andrà a finanziare attività di ricerca e di trasferimento tecnologico e di conoscenze, in ambito sanitario e assistenziale. In tutto verranno coinvolti, intorno a 28 progetti, oltre 200 ricercatori appartenenti a 10 tra Università ed Enti di ricerca, 8 tra Strutture sanitarie, sociosanitarie e di ricerca medica e 5 tra Imprese ed Enti privati. È previsto un reclutamento di 80 tra ricercatori e tecnologi e di 65 dottori di ricerca.

Le attività progettuali saranno coordinate, gestite e monitorate dalla Fondazione Anthem, con sede a Milano. ANTHEM opererà in profonda sinergia con l’ecosistema economico e industriale, le amministrazioni locali e la società civile in ambito di innovazione sanitaria e assistenziale sia a livello locale sia a livello nazionale. Gli ambiti di intervento del progetto sono quattro, ognuno coordinato da un ateneo: tecnologie e gestione di dati per la diagnostica e la cura (Università di Bergamo); ambienti smart e sensori innovativi per la medicina di prossimità (Università di Milano-Bicocca); ricerca di fattori di rischio e strumenti per il monitoraggio dei pazienti cronici (Politecnico di Milano); soluzioni terapeutiche innovative per patologie orfane (Università di Catania).

Il progetto agirà su contesti territoriali e sistemi sanitari specifici e rappresentativi della diversità del Paese in termini di organizzazione, tecnologia, densità di popolazione, presenza di ospedali e di strutture di prossimità, facilità di accesso, efficienza diagnostica e terapeutica, uso delle tecnologie digitali. Saranno coinvolte cinque regioni (Lombardia, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia), le comunità montane, come la Val Seriana e la Val Brembana in provincia di Bergamo, e le comunità metropolitane e distrettuali (Milano, Monza e Brianza, Napoli, Taranto, Bari, Lecce).

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