Premio per la migliore pubbblicazione dell’anno 2022 sulla rivista Andrology al dottorando Lorenzo Romano . Lo studio intitolato "Erectile and sexual dysfunction in male and female patients with celiac disease: a cross-sectional observational study" ha ricevuto il prestigioso riconoscimento durante il Congresso della European Andrology Academy ia Stoccolma.

Le disfunzioni sessuali costituiscono un problema di notevole rilevanza clinica nella popolazione generale alterando in maniera profonda la qualità della vita di coloro che ne soffrono. La principale disfunzione sessuale tra i maschi è la disfunzione erettile che ha una prevalenza nella popolazione generale che varia dall’1 al 40% in relazione all’età. Le principali disfunzioni sessuali tra le donne sono la incapacità a raggiungere un orgasmo, il deficit di lubrificazione, la riduzione del desiderio ed il dolore durante il rapporto sessuale. con una prevalenza di circa il 40-50%, indipendentemente dall’età. Le cause sono molteplici e fattori psico-sociali, endocrinologici, neurologici possono giocare un ruolo importante. Molte malattie croniche possono essere associate a disfunzione sessuale,e, tra queste, anche quelle che coinvolgono l’apparato digerente.

Questo studio osservazionale attuato da Romano, specialista in Urologia e Dottorando di Ricerca presso la Scuola di Dottorato in Scienze Mediche Cliniche e Sperimentali della  Vanvitelli diretta dalla professoressa Armida Mucci, è stato effettuato attraverso la somministrazione on-line di questionari assolutamente anonimi ha avuto come scopo quello di valutare la prevalenza ed i fattori di rischio di Disfunzioni Sessuali in una malattia dell’apparato digerente, la Malattia Celiaca, che è particolarmente frequente nella popolazione generale con una prevalenza accertata in Italia dell’1%. In breve, circa il 50% della popolazione celiaca femminile aveva uno o più disturbi della funzione sessuale (in prevalenza riduzione del desiderio, difficoltà ad eccitarsi ed a raggiungere l’orgasmo e dolore nel corso del rapporto) ed oltre il 60% della popolazione celiaca maschile aveva disfunzione erettile di diverso grado. Un elevato indice di massa corporea (BMI) si associava significativamente a disfunzione sessuale in entrambi i sessi, ed una diagnosi di celiachia in età precoce è risultata essere un fattore predittivo di disfunzione sessuale tra i maschi.
Pertanto, questo studio, che ha visto come tutor Marco De Sio, Professore Ordinario di Urologia e Direttore della UOC di Urologia della Vanvitelli, e frutto della collaborazione tra le Divisioni di Urologia e Gastroenterologia di Diverse Aziende Ospedaliere, sia universitarie che ospedaliere, dimostra che una percentuale rilevante di pazienti con malattia celiaca soffre di disfunzione sessuale e che un alterato indice di massa corporea ed una età precoce alla diagnosi possono essere dei fattori predittivi di rischio di disfunzione sessuale tra I pazienti celiaci. Inoltre, sulla base di questo studio, si ipotizza che in una malattia con implicazioni multidisciplinari come la celiachia, possa essere utile la somministazione di questionari validati che esplorano la funzione sessuale in maschi e femmine, al fine di raggiungere una diagnosi precoce di disfunzione sessuale ed instaurare un trattamento pronto ed efficace.

L’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli ha vinto il bando “Roche per i servizi - A supporto di soluzioni innovative in sclerosi multipla” con un progetto che propone lo sviluppo di una Web APP dedicata alla gestione dei pazienti con Sclerosi Multipla (SM) sottoposti a terapie infusive/iniettive ad alta efficacia presso i Centri SM che, grazie al finanziamento di euro 20mila, permetterà una uniforme e dettagliata raccolta dati, nonché la rapida ed efficiente condivisione dei medesimi con tutto il team, consentendo un ottimale monitoraggio (anche attraverso la generazione di tabelle e grafici) dei parametri di sicurezza e risposta al trattamento.

Antonio Gallo, vincitore del progetto, è Professore Associato di Neurologia. Medico chirurgo con specializzazione in Neurologia e dottorato in Neuroscienze, è stato Research fellow presso il Laboratorio Neuroimmagini dell’Ospedale San Raffaele di Milano e presso la Neuroimmunology Branch dell’NINDS dei National Institutes of Health (NIH) di Bethesda, negli Stati Uniti. Dal 2008 coordina le attività di ricerca del Centro Sclerosi Multipla della I Clinica Neurologica - AOU Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, dedicandosi prevalentemente alle neuroimmagini e a nuovi protocolli terapeutici.

Autore di circa 150 pubblicazioni peer-reviewed su riviste internazionali e membro di diversi gruppi di ricerca nazionali ed internazionali (MAGNIMS, INNI, etc), a commento del premio il dottor Gallo ha detto: “Sono davvero molto felice di ricevere questo premio perché è stata riconosciuta la rilevanza e l’utilità del nostro progetto, volto allo sviluppo di una Web App dedicata alla gestione dei pazienti con Sclerosi Multipla (SM) che, in numero sempre crescente, ricevono terapie iniettive/infusionali di seconda linea presso i Centri SM. Grazie a questa Web App, lo staff dei Centri SM potrà raccogliere, visualizzare e condividere, in tempo reale, una serie di parametri clinici e paraclinici indispensabili per un ottimale monitoraggio della sicurezza e della risposta alla terapia, contribuendo a migliorare l’assistenza e, auspicabilmente, l’outcome dei pazienti”.

L’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli è fortemente impegnata nell’ambito della formazione e della ricerca. Il Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Avanzate, a cui afferisce il dottor Gallo, si contraddistingue per un serie di eccellenze, tra cui spiccano le attività di ricerca nell’ambito delle Neuroscienze Cliniche, con particolare riguardo per le malattie neurodegenerative e la Sclerosi Multipla.

“Il riconoscimento al progetto sviluppato dal Prof. Gallo insieme ai suoi collaboratori del centro SM, ci inorgoglisce – ha commentato Alessandro Tessitore, Professore Ordinario, Direttore UOC della I Clinica Neurologica dell’AOU Università degli Studi della Campania Luigi VanvitelliEsprimo sincera soddisfazione per l’aggiudicazione di questo premio da parte della Roche, partner affidabile e attento a tutte le realtà che, come la nostra, sono quotidianamente impegnate a garantire migliori standard assistenziali e avanzamenti nel campo della ricerca”.

L’edizione 2023 del bando ha previsto un finanziamento complessivo di 240mila euro. Dal lancio, Roche ha stanziato complessivamente 1 milione e 130mila euro per 50 progetti. Allargando il focus a tutti i bandi dedicati all’innovazione in Ricerca e ai servizi in tutte le aree terapeutiche a supporto di enti e Associazioni Pazienti, sono oltre 10 i milioni di euro stanziati dall’Azienda e dalla sua Fondazione negli ultimi anni.

La nostra missione è lavorare oggi su ciò di cui i pazienti avranno bisogno domani – ha commentato Anna Maria Porrini, Direttore Medical Affairs & Clinical Operations in Roche Italia In queste parole c’è l’essenza del nostro impegno quotidiano, fatto da una parte di innovazione, sia essa terapeutica o di servizi e, dall’altra di collaborazione con tutta la rete di interlocutori dell’ecosistema. Queste sono le fondamenta sulle quali costruire per affrontare le sfide di salute dei nostri tempi e per creare beneficio ai pazienti e alle loro famiglie nell’ottica della sostenibilità. Come Roche, lavoriamo da sempre su questi fronti e i bandi sono uno dei modi che abbiamo per rendere concreto questo impegno”.

 

Seguici sui social

Facebook Roche Italia  |  Instagram roche_italia  \  Linkedin roche-italia  |  Twitter RocheItalia

 

 

Ufficio stampa - SEC and Partners

Alessandra Campolin Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Martina Barazzutti Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Combattere le microplastiche e i loro effetti sulla salute. Dai risultati delle ultime ricerche scientifiche alle campagne ambientali e di sensibilizzazione, dalla conoscenza delle tecnologie innovative alle azioni congiunte volte alla sostenibilità, nasce la collaborazione tra l’Università Vanvitelli e la Fondazione Marevivo.

Una collaborazione sancita dal confronto che si è tenuto nella Sala del Rettorato dell’Università Vanvitelli e che ha visto il Prorettore alla Green Energy e alla Sostenibilità Ambientale e Delegato RUS, Furio Cascetta, ribadire l'impegno dell'Ateneo nei confronti delle tematiche della sostenibilità ambientale.

Le micro-nanoplastiche sono un agente inquinante ambientale molto grave e largamente diffuso: basti pensare che tale sostanze possono essere presenti nelle bottiglie di plastica che contengono latte o acque minerali, nelle confezioni dei contenitori che utilizziamo per riscaldare il cibo nei forni a micro-onde, nei cosmetici , o nell’aria in seguito alle frenate delle auto che liberano dagli pneumatici. 

Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista The New England Journal of Medicine, ideato e coordinato dall’Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha fornito per la prima volta la prova che le microplastiche e le nanoplastiche ingerite o inalate sono associate a esiti di malattie cardiovascolari nell’uomo, indicando che le materie plastiche hanno costi sempre più elevati, ormai visibili, per la salute umana e l’ambiente.

Nel nostro studio sono state esaminate le placche aterosclerotiche asportate per prevenire un ictus cerebrale dalle carotidi di pazienti che sono stati poi seguiti per un periodo di 3 anni - hanno dichiarato Giuseppe Paolisso e Raffaele Marfella, Dipartimento Scienze Mediche e Chirurgiche Avanzate DAMSS Università della Campania. - I pazienti che presentavano forme di inquinamento delle placche riportavano un maggior rischio di infarto del miocardio e di ictus cerebrale - di circa 4.5 volte superiore - rispetto ai pazienti senza inquinamento delle placche, poiché le placche inquinate erano più infiammate (a causa della presenza delle microplastiche) e quindi più instabili e fragili. È altamente verosimile che questa aumentata fragilità e instabilità si traduceva in una maggiore possibilità di rottura, con l’entrata in circolo dei frammenti che erano poi responsabili dell’ostruzione a distanza di piccoli vasi a livello cardiaco e cerebrale”.

Marevivo, dal canto suo, è impegnata costantemente in azioni di sensibilizzazione dei Governi per ottenere leggi efficaci e concrete finalizzate alla conservazione e alla difesa dell’ecosistema marino e delle sue specie.

Abbiamo lanciato l’allarme sui danni prodotti dalla dispersione delle microplastiche nell’ambiente già anni fa e grazie alle nostre battaglie si è arrivati a una legge che dal 2020 ha introdotto il divieto delle microplastiche nei cosmetici da risciacquo – dichiara Raffaella Giugni, Segretario Generale Marevivo. - Anche le microfibre rappresentano una seria minaccia per l’ambiente e la salute dell’uomo, per questo Marevivo ha promosso la campagna #stopmicrofibre denunciando che il lavaggio dei capi è una delle cause principali della loro presenza in mare, dove vengono ingerite dai pesci per poi entrare nella catena alimentare”. 

Attraverso una ricerca sulle microplastiche su campioni di latte materno, condotta da Elisabetta Giorgini, Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente, Università Politecnica delle Marche, con Valentina Notarstefano e partendo da uno studio di Antonio Ragusa, sono state individuate più di 50 microplastiche distribuite nel 76% dei campioni analizzati.

La ricerca è proseguita sempre in ambito umano, con l’analisi di campioni umani di urina e sperma, in collaborazione con Luigi Montano dell’ ASL Salerno, e Oriana Motta dell’Università degli Studi di Salerno. Anche in queste due matrici biologiche, abbiamo individuato microplastiche derivanti da matrici polimeriche commerciali, quali polietilene, policarbonato, polistirene, polivinil cloruro”, ha spiegato Elisabetta Giorgini.

Esempio di impegno alla sostenibilità tradotto in azioni concrete è l’azienda Beko che ha progettato filtri integrati per le lavatrici che catturano fino al 90% delle microfibre di plastica rilasciate dai tessuti sintetici.

Crediamo fermamente che prendersi cura del pianeta sia il modo migliore per prendersi cura delle persone - ha spiegato durante il suo intervento Michela Lucchesini, Responsabile Marketing Beko Italy - ed è per questo che ci dedichiamo con passione a creare prodotti che rispettino l’ambiente e migliorino la vita dei nostri clienti. Questo impegno si riflette anche nel nostro modo di comunicare: con la campagna digitale "Una scelta di vita" abbiamo voluto promuovere un messaggio di consapevolezza e responsabilità, perché siamo convinti che ogni piccola azione possa fare la differenza”.

La collaborazione tra Ateneo e Marevivo, dunque, è volta ad agire con soluzioni virtuose e di favorire un cambiamento culturale che porti la società civile verso un modello di produzione e consumo circolare.

Alessandro Tessitore alla guida della Società italiana Parkinson Limpe - Dismov. Professore ordinario di Neurologia alla Vanvitelli e direttore della Clinica Neurologica della Azienda Ospedaliera Universitaria, Tessitore, è stato eletto nel corso del decimo congresso nazionale.

La Società Italiana Parkinson raccoglie in Italia più di 900 operatori sanitari che si occupano di diagnosi e cura della malattia e di disturbi del movimento. Le sue attività sono di riferimento scientifico nazionale per promuovere e divulgare le conoscenze su questa patologia. Una patologia degenerativa che coinvolge circa 300.000 pazienti in tutta Italia e di questi circa 15.000 in Campania.

Tessitore, che ha ricevuto il passaggio di testimone della direzione della Clinica Neurologica dal professor Gioacchino Tedeschi, si è formato in America alla Clinical Brain Disorders Branch dell’Nih dove si è dedicato allo studio delle modifiche cerebrali causate dal Parkinson e alla possibilità di individuare una terapia farmacologica che fosse in grado di migliorare parzialmente gli esiti delle alterazioni provocate da questa patologia.

«Sono onorato di questa nomina - commenta Alessandro Tessitore - che mi vedrà impegnato per dare un ulteriore incentivo ai progetti di ricerca sempre più competitivi, non solo nella malattia di Parkinson ma anche di tutti negli altri disordini del movimento, anche quelli più rari. I pazienti, infatti, devono restare il centro della nostra attività finalizzata in primis a migliorare la qualità della vita di chi ogni giorno deve fare i conti con questo tipo di patologie».

 

Il budesonide, un farmaco utilizzato per il trattamento dell’asma, può avere significativi effetti antiproliferativi sulle cellule del tumore pancreatico. La scoperta è avvenuta nell’ambito di uno studio coordinato da ricercatori dell’Istituto di genetica e biofisica “A. Buzzati-Traverso” del Cnr di Napoli, in collaborazione con l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e istituzioni di ricerca straniere. I risultati sono stati pubblicati a luglio 2024 sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research

 

Perché tra i pazienti asmatici si osserva una minore incidenza di tumore al pancreas? La domanda ha guidato un gruppo di ricerca internazionale, coordinato dall’Istituto di genetica e biofisica “A. Buzzati-Traverso” del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Cnr-Igb) assieme a colleghi e colleghe dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, dell’Instituto de Investigaciones Biomedicas Sols-Morreale di Madrid e della statunitense Università del Tennessee. Una risposta potrebbe essere un effetto del budesonide, un farmaco ampiamente utilizzato per il trattamento dell’asma. Il composto sembra infatti avere la sorprendente capacità di contrastare la proliferazione delle cellule tumorali dell’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC), la forma più frequente di tumore al pancreas.

I risultati dello studio sono stati pubblicati a luglio 2024 sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research, rivista del gruppo Springer Nature. “Ci siamo concentrati sulla correlazione inversa che, secondo dati statistici, vede un’associazione negativa tra i pazienti asmatici sotto terapia da lungo tempo e la frequenza del tumore al pancreas. Abbiamo così scoperto che il budesonide, un farmaco glucocorticoide già in commercio per il trattamento dell’asma, è in grado di limitare le caratteristiche più aggressive delle cellule umane di tumore del pancreas, come la capacità di proliferare, migrare e invadere altri tessuti e organi, alla base della disseminazione delle metastasi”, spiega Gabriella Minchiotti (Cnr-Igb), coordinatrice del lavoro. “In esperimenti con cellule in coltura e animali di laboratorio, abbiamo dimostrato che il budesonide arresta la crescita delle cellule del tumore pancreatico modificandone il metabolismo e interferendo in particolare con i cambiamenti necessari alla progressione tumorale”.

L’unione multidisciplinare fra due importanti enti di ricerca e la sinergia fra diversi gruppi, spiegano le prof.sse Altucci e Cobellis del Dipartimento di Medicina di Precisione dell’Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, sono state un punto di forza per il successo della ricerca e della sua applicabilità. Continuano la prof. Lucia Altucci e la prof. Gilda Cobellis, “il coinvolgimento del Dottorato in Medicina Traslazionale della Vanvitelli (coi due dottorandi Ibello e Amoroso) è un trait d’union, il filo conduttore per raggiungere un risultato tangibile e potenzialmente utile per la terapia”.

Oltre a essere una delle forme più frequenti di tumore al pancreas, l’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC) è anche particolarmente aggressivo. Nel 2023 in Italia sono state stimate circa 14.800 nuove diagnosi, secondo i dati del rapporto “I numeri del cancro in Italia, pubblicato a cura dell’Associazione Italiana Oncologia Medica (www.aiom.it) in collaborazione con l’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM). Essendo un tumore spesso resistente alle terapie classiche, quali chemioterapia e radioterapia, la sopravvivenza stimata a cinque anni dalla diagnosi è inferiore al 12%. Per questa patologia, inoltre, non esistono metodi di screening efficaci: questo fa sì che, al momento della diagnosi, spesso il tumore sia già diffuso nell’organismo, rendendo difficile ogni tipo di intervento e terapia.

“I risultati ottenuti suggeriscono un possibile utilizzo del budesonide anche nella terapia preventiva, o come coadiuvante nel trattamento dell’adenocarcinoma duttale pancreatico. L’approccio in gergo medico-scientifico è chiamato “riposizionamento” poiché è utilizzato in caso di farmaci già utilizzati per determinate indicazioni terapeutiche ed efficaci nel trattamento di patologie diverse da quelle per cui erano stati approvati in origine”, aggiunge la ricercatrice Cristina D’Aniello (Cnr-Igb), coautrice corrispondente dell’articolo. “Inoltre lo studio potrebbe aprire nuove frontiere per lo sviluppo di terapie nella lotta a questo tipo di tumore, con un risparmio di tempi e costi”.

La ricerca ha ricevuto il sostegno fondamentale della Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, e del Ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito del programma PRIN 2022 e del piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) progetto D3 4 Health finanziati dall’Unione Europea– Next Generation EU.

La guerra in Ucraina ha determinato un crollo del benessere psicologico della popolazione di molte nazioni europee e non. Un gruppo di ricerca internazionale, di cui fanno parte tre membri del Dipartimento di Psicologia della Vanvitelli, Augusto Gnisci, Ida Sergi e Francesca Mottola, ha indagato gli effetti della guerra in Ucraina sul benessere psicologico delle persone non direttamente coinvolte nella guerra stessa.

I risultati della ricerca sono stati appena pubblicati sulla rivista Nature Communications. Il team internazionale è capeggiato da Julian Scharbert della University of Münster, Germania.
Lo studio si basa su circa 45.000 questionari che hanno coinvolto 1.300 partecipanti provenienti da 17 nazioni europee. Condotta tra la fine del 2021 e l'estate del 2022, la ricerca ha consentito di monitorare l'andamento degli stati d’animo che gli intervistati hanno vissuto giorno per giorno durante le settimane precedenti e successive allo scoppio della guerra.

I risultati mostrano che l'esplosione del conflitto tra Russia e Ucraina, avvenuto quasi due anni fa, ha generato un improvviso declino del benessere psicologico e della salute mentale nei cittadini di tutta l’Europa e di tutto il mondo. Si è stimato che l’ansia registrata in seguito all’invasione dell’Ucraina è stata superiore a quella registrata dopo il lockdown dovuto al Covid nel 2020 ed ha colpito in particolare i cittadini europei.


Per il recupero dei livelli di benessere iniziali sono stati necessari due mesi. Le capacità di recupero non sono state influenzate dal genere, dall’età e dall’orientamento politico delle persone quanto da alcune caratteristiche di personalità che hanno giocato un ruolo cruciale, specie nei cittadini italiani. La caratteristica di personalità che ha permesso un rapido recupero è stata la cosiddetta stabilità, che nasce da una combinazione di tratti legati alla coscienziosità, alla emotività e alla amabilità delle persone. Perciò, mentre le persone dotate di queste caratteristiche, dopo lo shock della guerra, erano in grado di migliorare gradualmente la propria salute mentale, gli individui poco stabili mostravano un recupero lento e difficoltoso.

Infine, si è osservato un peggioramento del benessere mentale nei giorni in cui il tema della guerra aveva una forte presenza sui social media. Da un lato, alti livelli di ansia portavano i cittadini a fare più post legati alla guerra, dall’altro, l’essere esposti a contenuti legati alla guerra sui social media portava, a sua volta, ad una maggiore ansia. Anche in questo caso, l’impatto negativo delle notizie e delle immagini sulla psiche era maggiore per coloro che erano particolarmente vulnerabili allo stress.

Links:

https://doi.org/10.1038/s41467-024-44693-6
Original publication in “Nature Communications”

https://www.uni-muenster.de/PsyIFP/AEBack/
Research project Prof. Mitja Back from the Institute of Psychology at the University of Münster

Sul Pubblicare in Medicina. Impact factor, open access, peer review, predatory journal e altre creature misteriose. L’incontro si terrà lunedì 24 giugno - h 16:30 Sant’Andrea delle Dame | Sala degli Affreschi | Via L. De Crecchio 7, Napoli

Più di cinque milioni di articoli scientifici pubblicati ogni anno. Trentamila riviste indicizzate sui database internazionali. Centotrenta milioni di ore di lavoro non retribuite di medici e ricercatori per una peer review che si dimostra non sempre efficace. Diecimila articoli retracted ogni anno. Dietro a questi numeri c’è un’industria che vale 30 miliardi di dollari e fa utili come i grandi player dell’informatica. Il business model degli editori delle pubblicazioni scientifiche è all'avanguardia e dimostra come sia possibile ottenere ingenti profitti con costi minimi, sfruttando l'informazione generata dal lavoro oneroso e dall'investimento di ricercatori clinici, sul campo e in laboratorio, revisori delle pubblicazioni e finanziatori dei progetti di ricerca.

Una conversazione tra

Lucia Altucci (Professoressa di Patologia generale, Università della Campania)

Italo Angelillo (Professore di Igiene Generale ed Applicata dell’Università della Campania),

Paolo Chiodini (Professore di Statistica Medica, Università della Campania),

Luca De Fiore (Il Pensiero Scientifico Editore e European Association of Science Editors)

Francesco Perrone (Direttore della SC Sperimentazioni cliniche,

Istituto Nazionale Tumori, Fondazione Pascale, Napoli e Presidente AIOM)

Giovanni Conzo nella Cabina di regia per l’implementazione di una rete di Centri “Pancreas Unit”. La nomina per Conzo, professore associato di Chirurgia generale dell'Ateneo Vanvitelli, arriva dal Ministero della Salute che ha deciso di istituire questo coordinamento in considerazione della necessità di individuare le possibili iniziative più idonee per contrastare l’insorgenza del tumore pancreatico e per potenziare la relativa assistenza, anche individuando i modelli organizzativi più idonei a garantire i massimi livelli di qualità, efficacia e sicurezza delle cure in tutto il territorio nazionale.

Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, il tumore al pancreas rappresenta attualmente lo 0,79% della mortalità globale per tutte le cause, con un aumento di 1,80 volte verificatosi negli ultimi venticinque anni. 
La cabina di regia appena istituita, in particolare, mira all’implementazione di una rete di Centri “Pancreas Unit” per la diagnosi e il trattamento del tumore del pancreas, con funzioni di studio e di coordinamento delle strategie di attuazione della predetta rete in raccordo con tutti i livelli del Servizio sanitario nazionale.

Terapia fisica riabilitativa, ai microfoni di "Le scienze" c'è Francesca Gimigliano, docente di medicina fisica e riabilitativa al Dipartimento di salute Mentale e fisica e Medicina preventiva dell'Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli" e presidente della Società internazionale di medicina fisica e riabilitativa (ISPRM). I suoi ambiti principali di ricerca riguardano l'invecchiamento (osteoporosi e sarcopenia), la classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute, e le nuove tecnologie in riabilitazione.
Scopriamo con la prof. Gimigliano com'è cambiata la medicina riabilitativa negli ultimi anni e come questa stia assumendo un ruolo sempre più centrale in tutti i livelli di cura, ospedalieero, in fase post acuta di malattia, in fase cronica.

Italian Knowledge Leaders è una serie di incontri organizzati da Le Scienze in collaborazione con Convention Bureau Italia che mette in connessione il pubblico in maniera diretta con i protagonisti della scienza.

Studiare le proteine conservate nella cellula uovo per comprendere i meccanismi dello sviluppo embrionale. Un importante passo avanti nella ricerca contro l’infertilità femminile e i disordini dello sviluppo è stato compiuto dal team di ricercatori guidato da Andrea Riccio, docente del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali e Farmaceutiche dell’Università Vanvitelli e ricercatore associato dell’Istituto di Genetica e Biofisica Adriano Buzzati-Traverso del CNR. In collaborazione con il team del dottor Gavin Kelsey del Babraham Institute di Cambridge nel Regno Unito, i risultati di questa innovativa scoperta sono stati condivisi recentemente sulla prestigiosa rivista Genes and Development.

Il team che ha realizzato lo studio comprende come primo autore il dottor Carlo Giaccari. Seguono Francesco Cecere, Lucia Argenziano, Angela Pagano, Basilia Acurzio e la professoressa Flavia Cerrato. Il lavoro è frutto anche della collaborazione con i gruppi della professoressa Sandra Cecconi dell’Università dell’Aquila e della professoressa Maria Vittoria Cubellis della Federico II.

Lo studio si focalizza su un componente chiave del complesso multiproteico materno, PADI6, che svolge un ruolo fondamentale nell’immagazzinamento delle proteine nella cellula uovo, in maniera che esse possano essere utilizzate dopo la fecondazione, durante le prime divisioni cellulari dell’embrione.

"Le proteine materne - spiega Riccio – sono necessarie al prodotto del concepimento nelle prime fasi dello sviluppo, quando l’embrione non è ancora in grado di produrle. Mutazioni della proteina PADI6 sono causa di infertilità femminile e di alcuni rari disordini dello sviluppo, come la Sindrome di Beckwith-Wiedemann (BWS)”.

Il team ha generato un modello murino transgenico, in cui è stata riprodotta la mutazione di PADI6 precedentemente riscontrata in una donna le cui figlie erano affette da BWS. L’applicazione di tecniche innovative, come le analisi omiche su singola cellula, su questo modello animale ha permesso di dimostrare il ruolo che PADI6 svolge nella maturazione della cellula uovo e nella riprogrammazione del genoma embrionale, meccanismi molecolari che sono alla base dei difetti di sviluppo dell’embrione che si verificano prima dello stadio di impianto.

Questo studio apre nuove prospettive nella comprensione delle cause e nel potenziale trattamento dell’infertilità femminile. Nonostante ci siano ancora difficoltà per traslare questa promettente scoperta in fase pre-clinica e clinica, il team di Andrea Riccio è già al lavoro per individuare molecole che permettano di correggere il difetto di sviluppo causato dalla mutazione di PADI6 e sulla cui base individuare potenziali farmaci.
La ricerca è stata finanziata dalla Fondazione Telethon e dalla Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro.

 

Conoscere meglio neuroplasticità e connettività neuronale per migliorare diagnosi e cura delle malattie neurodegnerative. Questo l'obiettivo del progetto dello “Spoke 2” del Partneriato Esteso “MNESYS” sulle Neuroscienze finanziato dal Ministero della Università e della Ricerca attraverso i fondi PNRR. Il Partneriato, che ha la sede centrale di coordinamento (Hub) a Genova, si pone l’obiettivo di sviluppare un’estesa rete di atenei, istituti di ricerca ed aziende tecnologiche che collaborano su diverse tematiche (Spoke) per lo sviluppo di nuovi approcci per le neuroscienze sperimentali e cliniche in una prospettiva di medicina di precisione, personalizzata e predittiva che abbiano un impatto trasformativo sulla cura delle patologie del sistema nervoso e del comportamento.

L’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, in qualità di capofila dello Spoke 2, coordina 17 enti in totale, tra cui nove atenei pubblici e sette istituti di ricerca accreditati dal Ministero della Salute, ed ha organizzato il meeting che ha visto la partecipazione di cospicue ed autorevoli delegazioni di ricercatori da ciascuno degli enti Partner del progetto, e la presentazione di 60 contributi scientifici dalle ricerche avviate duranto il primo anno di progetto, sotto forma di poster e comunicazioni orali, sulla tematica della “neuroplasticità e connettività neuronale”.

La “neuroplasticità” è una caratteristica peculiare del cervello che discende dalla capacità naturale del sistema nervoso di modificarsi, funzionalmente e strutturalmente, in risposta agli stimoli e le perturbazioni che provengono dall’esterno o dall’interno del corpo e che lo stesso cervello deve continuamente elaborare e metabolizzare. Lo studio della neuroplasticità è cruciale, non solo per la comprensione dei processi di sviluppo e invecchiamento naturale del sistema nervoso, ma anche per la valutazione delle patologie che si possono verificare e che in modo diverso possono produrre un danno a questo insostituibile organo. Inoltre, per affrontare in maniera più completa ed efficace la complessità delle manifestazioni neurologiche nelle patologie neurodegeneraitive, il tema della neuroplasticità è strettamente associato a quello della “connettività neuronale” visto che i sintomi che caratterizzano queste patologie non sono mai il risultato di alterazioni a carico di uno singolo specifico neurone o area cerebrale, quanto, piuttosto, un effetto (o un difetto) di sincronizzazione tra gruppi di neuroni diversi e distribuiti su larga parte del cervello grazie a miliardi di connessioni.

Il paradigma generale adotattato da tutti gli Spoke del partneriato MNESYS è quello di uno studio multi-disciplinare e multi-scalare che fa leva su approcci sperimentali complementari che coprono tutta la fenomenologia del sistema nervoso, dal molecolare e cellulare all’organismo in toto, dalle valutazioni cliniche e psicologiche agli approcci farmacologici innovativi ed anche alle tecniche computazionali basate sulla creazione di modelli virtuali dell’individuo attraverso i cosiddetti “gemelli digitali” (digital twins) che permettono di simulare al computer l’effetto di un farmaco o di altro trattamento capace di innescare un fenomeno di neuroplasticità. In particolare, nello Spoke 2, si punta ad associare una descrizione clinica accurata dei sintomi neurologici e delle variegate espressioni (e disordini) del comportamento e del movimento, alla connettività del cervello umano, indagata tanto nella sua globalità (approccio su larga scala o connettomico) quanto nella chimica e nella morfologia che caratterizza le connessioni di ristretti gruppi di neuroni dello stesso tipo (approccio su piccola scala).

L’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” ha implementato il paradigma MNESYS nello Spoke 2 coinvolgendo dodici docenti da diverse discipline e dipartimenti, reclutando una ventina di giovani ricercatori, tra cui dottorandi e assegnisti di ricerca, ed ampliando le attrezzature scientifiche ed i materiali a disposizione di alcuni laboratori, proprio grazie al finanziamento PNRR riservato a questo progetto. In particolare, l’analisi del connetoma cerebrale in pazienti affetti da diverse patologie neurologiche è attualmente condotta da diversi gruppi di ricerca multi-disciplinare del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Avanzate, costituito da neurologi, neuroradiologi e ingegneri biomedici, già operativi presso il centro di ricerca sulle Neuroimmagini dell’Ateneo. Ad esempio, il gruppo, coordinato da. Fabrizio Esposito (ingegnere biomedico e coordinatore dello Spoke 2), insieme con Alessandro Tessitore (Direttore della Clinica Neurologica dell’AOU Vanvitelli) e Mario Cirillo (Neuroradiologo), ha avviato una serie di nuove ricerche con l’obiettivo di complementare lo studio connetomico del cervello, tipicamente condotto attraverso l’elaborazione avanzata delle neuroimmagini, con ulteriori “scale” di osservazione della neuroplasticità e connettività neuronale. Una linea di sviluppo MNESYS del progetto dello Spoke 2 coinvolge infatti il gruppo di Neuroanatomia dei docenti Michele Papa che con Giovanni Cirillo sta realizzando presso il Dipartimento di Salute Mentale e Medicina Preventiva e Fisica uno studio integrato ex-vivo delle connessioni cerebrali ad una scala microscopica.

Un’altra linea coinvolge, invece, il gruppo di Alessandro Usiello del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Biologiche e Farmaceutiche, che tramite le metodologie della biochimica analitica, sta indagando il ruolo di alcune molecole (D-Aminoacidi) di cui è adesso più nota l’attività neuromodulatoria, cioè quel tipo di azione che potrebbe indurre particolari fenomeni di neuroplasticità nel contesto di una patologia neurologica o psichiatrica. Una parte significativa del progetto è, infine, dedicata all’utilizzo dell’intelligenza artificiale e dei modelli computazionali avanzati anche per favorire una maggiore o diversa integrazione tra diverse discipline e scale di osservazione ed arrivare a comprendere sempre meglio, sia le funzioni cerebrali (in condizioni fisiologiche e patologiche) che il movimento ed il comportamento umano. Ulteriori contributi che si inquadrano su queste linee provengono dal gruppo di Fisica Teorica di Lucilla De Arcangelis del Dipartimento di Matematica e Fisica e dal gruppo di Neuropsicologia di Luigi Trojano e di Gabriella Santangelo del Dipartimento di Psicologia che stanno rispettivamente indagando la validità dei modelli computazionali per lo studio dei fenomeni di neuroplasticità e connettività eccitatoria ed inibitoria, anche attraverso l’impiego di modelli in-vitro delle cellule nervose e delle reti neuronali, e le caratteristiche del connetoma che possono influenzare alcuni aspetti della cognizione sociale.

 

Onnipresenti, le micro- e nanoplastiche attaccano anche il cuore con effetti dannosi fino ad oggi sconosciuti e mai trovati prima. Dopo averle trovate nell’uomo in diversi organi e tessuti, tra cui la placenta, il latte materno, fegato e polmoni, compresi i tessuti cardiaci, uno studio italiano rivela per la prima volta la loro presenza perfino nelle placche aterosclerotiche, depositi di grasso nelle arterie pericolose per il cuore e fornisce soprattutto prova inedita della loro pericolosità. I dati raccolti mostrano infatti che le placche aterosclerotiche “da inquinamento” sono anche più infiammate della norma, quindi più friabili ed esposte a rischio di rottura con un aumento almeno 2 volte più alto del rischio di infarti, ictus e mortalità rispetto a placche aterosclerotiche che non sono infarcite di plastica. Lo ha verificato un ampio studio italiano coordinato da ricercatori dell’Università  della Campania Luigi Vanvitelli, oggi pubblicato sulla rivista The New England Journal of Medicine, che dimostra come le placche aterosclerotiche contengano spesso micro- e nanoplastiche a base di polietilene (PE, rilevato nel 58.4% dei casi) o polivinilcloruro (o PVC, individuato nel 12.5% dei casi), due dei composti plastici di maggior consumo nel mondo, utilizzati per realizzare prodotti che vanno dai contenitori ai rivestimenti, dalle pellicole plastificate a materiali per l’edilizia.

 

L’editoriale del New England Medical Journal

Lo studio italiano è accompagnato da un editoriale della rivista che definisce la ricerca “una scoperta rivoluzionaria che solleva una serie di domande urgenti: l’esposizione a microplastiche e nanoplastiche può essere considerato un nuovo fattore di rischio cardiovascolare? Quali organi oltre al cuore possono essere a rischio? Come possiamo ridurre l’esposizione?”, scrive l’epidemiologo Philip J. Landrigan, fondatore e direttore del Global Public Health Program del Boston College e del Global Pollution Observatory all’interno dello Schiller Institute for Integrated Science and Society, che firma l’editoriale. “Il primo passo è riconoscere che il basso costo e la convenienza della plastica – continua - sono ingannevoli e che, di fatto, nascondono grandi danni, come il contributo della plastica agli esiti associati alla placca aterosclerotica. Dobbiamo incoraggiare i nostri pazienti a ridurre l’uso della plastica, in particolare degli articoli monouso non necessari e sostenere il Trattato Globale sulla Plastica delle Nazioni Unite per rendere obbligatorio un tetto globale alla produzione di plastica. Come per i cambiamenti climatici anche la risoluzione dei problemi associati alla plastica richiederà una transizione su larga scala dal carbonio fossile”.

 

Lo studio

L’indagine è stata condotta su 257 pazienti con oltre 65 anni sottoposti a un’endoarterectomia per stenosi carotidea asintomatica, procedura chirurgica durante la quale sono state rimosse placche aterosclerotiche che poi sono state analizzate con il microscopio elettronico così da rilevare l’eventuale presenza di micro- e nanoplastiche, ovvero particelle plastiche con un diametro rispettivamente inferiore a 5 millimetri o a 1 micron (0,001 millimetri). “L’analisi ha dimostrato la presenza di particelle di PE a livelli misurabili (circa 20 microgrammi per milligrammo di placca) nel 58.4% dei pazienti e di particelle di PVC (in media 5 microgrammi per milligrammo di placca) nel 12.5% - dichiara Giuseppe Paolisso, coordinatore dello studio e Ordinario di Medicina Interna dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” -; soprattutto, tutti i partecipanti sono stati seguiti per circa 34 mesi e si è osservato che in coloro che avevano placche ‘inquinate’ dalle plastiche il rischio di infarti, ictus o di mortalità per tutte le cause era almeno raddoppiato  rispetto a chi non aveva placche aterosclerotiche contenenti micro- e nanoplastiche, indipendentemente da altri fattori di rischio cardio-cerebrovascolari come età, sesso,  fumo, indice di massa corporea, valori di colesterolo, pressione e glicemia o precedenti eventi cardiovascolari. I dati mostrano inoltre un incremento locale significativo di marcatori dell’infiammazione in presenza delle micro- e nanoplastiche”.

 

Il meccanismo dei danni creati al cuore dalla plastica

“L’effetto pro-infiammatorio potrebbe essere uno dei motivi per cui le micro- e nanoplastiche comportano una maggiore instabilità delle placche e quindi un maggior rischio che si rompano, dando luogo a trombi e provocando così infarti o ictus – spiega Raffaele Marfella, ideatore dello studio e Ordinario di Medicina Interna dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” –. Dati raccolti in vitro e negli animali da esperimento hanno già mostrato che le micro- e nanoplastiche possono promuovere lo stress ossidativo e l’infiammazione nelle cellule dell’endotelio che ricopre i vasi sanguigni, ma anche che possono alterare il ritmo cardiaco e contribuire allo sviluppo di fibrosi e alterazioni della funzionalità del cuore: questi risultati mostrano per la prima volta nell’uomo una correlazione fra  la presenza di micro- e nanoplastiche e un maggior rischio cardiovascolare”.

 

La diffusione delle plastiche

Il PE è una delle plastiche più utilizzate al mondo, tanto da costituire il 40% del volume totale della produzione mondiale di materie plastiche; leggero e resistente a urti e corrosione, è usato ampiamente per realizzare contenitori, oggetti, rivestimenti. Il PVC è altrettanto diffuso ed è una delle materie plastiche più versatili, perché può essere modellato e stampato a caldo, ma anche sciolto per spalmare tessuti e superfici; si trova in innumerevoli prodotti, dai rivestimenti alle pellicole, dai tubi fino ai dischi in vinile. Entrambi possono dare origine a microscopiche particelle plastiche che si riversano nell’ambiente e possono poi essere assorbite: stando all’ultimo rapporto Future Brief sulle nanoplastiche della Commissione Europea, in media un adulto inala o ingerisce dalle 39.000 alle 52.000 particelle plastiche all’anno, pari a 5 grammi di plastica alla settimana, l’equivalente di una carta di credito. “L’aumento esponenziale della produzione è la causa principale del peggioramento dei danni da plastica – si legge nell’editoriale -. In tutto il mondo, la produzione annuale è cresciuta da meno di 2 milioni di tonnellate nel 1950 a circa 400 milioni di tonnellate a oggi. Si prevede che questa produzione raddoppierà entro il 2040 e triplicherà entro il 2060”.

 

Cosa resta ancora da chiarire

Il nostro studio non ha indagato l’origine delle micro- e nanoplastiche rilevate nelle placche aterosclerotiche: considerata l’ampia diffusione di PE e PVC, attribuirne la fonte di provenienza nell’uomo è pressoché impossibile – precisa il Prof. Antonio Ceriello dell’IRCSS Multimedica di Milano -. Sono soprattutto le particelle plastiche più piccole, le nanoplastiche, a poter penetrare in profondità nei tessuti, ma numerosi studi ne hanno rinvenute anche di dimensioni maggiori e in quantità rilevabili in molti organi umani: si sono trovate particelle con un diametro fino a 10 micron nella placenta, fino a 15 micron nel latte materno e nelle urine, fino a 30 micron nel fegato, fino a 88 micron nei polmoni, con un diametro superiore a 0,7 micron nel sangue. Sebbene i nostri dati non stabiliscano un rapporto di causa-effetto, tuttavia suggeriscono che le  micro- e nanoplastiche potrebbero costituire un nuovo, importante fattore di rischio cardiovascolare di cui tenere conto”. “La qualità di questo studio – aggiunge il Rettore dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Prof. Gianfranco Nicoletti - dimostra ancora una volta quanto sia cresciuta la nostra Università in questi anni e che grandi potenzialità di sviluppo essa ha nel prossimo futuro”.

Pagina 1 di 11