Distrofia Muscolare di Duchenne, corso di aggiornamento - 7 aprile 2018

Si chiama medicina di precisione e, nella pratica, è lo studio genetico che consente a molti bambini ogni anno di poter essere indirizzati ai trials clinici in base al tipo di mutazione. Genetisti, medici e docenti dell’Ateneo Vanvitelli che si occupano di genetica, si sono attrezzati con apparecchiature all’avanguardia, di ultima generazione, e fanno parte di una rete internazionale per il confronto dei risultati, che consente loro di essere un vero e proprio punto di riferimento nel campo delle distrofie e miopatie, tanto da riuscire ogni anno ad effettuare oltre 300 diagnosi di malattie di questo tipo sui bambini.

Le nuove possibilità diagnostiche e la genetica di nuova generazione saranno presentate durante un incontro che si terrà sabato 7 aprile, all’Hotel Excelsior, dalle ore 9, per concludersi nel pomeriggio con una disamina di alcuni casi clinici e il lavoro in 3 distinti, gruppi clinici e genetici, che metterà a confronto medici clinici e medici genetisti. Interverranno i rappresentati dell’UILDM, di Parent Project e dei centri Nemo. La seconda edizione del corso mira a confrontare e valutare il percorso diagnostico personalizzato avviato nel 2017, per i bambini cui vengono diagnosticate malattie genetiche dei muscoli come le distrofie muscolari di Duchenne.
“Il nostro obiettivo – spiega Vincenzo Nigro, professore ordinario di genetica medica all’Università Vanvitelli e coordinatore del gruppo di ricerca dedicato allo studio di malattie genetiche dei muscoli – è quello di estendere e potenziare la rete avviata lo scorso anno. Oggi, grazie a strumentazioni all’avanguardia e ad un’alta specializzazione del nostro personale medico, possiamo dare a tanti bambini risposte certe in tempi brevi, consentendo loro di entrare in protocolli terapeutici personalizzati nel più breve tempo possibile. Il tempo e la specificità delle cure sono due elementi fondamentali per questi piccoli pazienti, che possono consentire loro di avere una vita migliore”.

Il network che si è creato conta circa 40 strutture che si occupano di patologie pediatriche neurologiche di tutta Italia, da Torino all’intero Sud, Sicilia compresa. La rete di specialisti che si occupano delle distrofie muscolari in genere ed in particolare di quella di Duchenne consente la condivisione di dati e l’aiuto all’interpretazione degli stessi, ma anche, laddove possibile, un indirizzo verso le terapie.

 

Il Cardinale Crescenzio Sepe dona all'Azienda Ospedaliera Universitaria "Vanvitelli" un'ambulanza per la Terapia Intensiva Neonatale.  Un’ambulanza di ultimissima generazione, frutto dell'asta di beneficenza tenuta dallo stesso Cardinale lo scorso anno e consegnata il 15 dicembre. Terapia Neonatale che si attesta oggi tra i più importanti presidi della rete dell'emergenza della Regione Campania.

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Il Punto Nascita del Policlinico Vanvitelli conta su un Pronto Soccorso Ostetrico, attivo h. 24, su un Reparto di Degenza di Ostetricia e Ginecologia, con 10 posti letto di Ricovero Ordinario e 4 posti letto di Ricovero Diurno, e su un Complesso Operatorio, costituito da due Sale Operatorie (una delle quali dedicata esclusivamente all’urgenza), due Sale Parto (una delle quali attrezzata con vasca per il Parto in Acqua) e due locali dedicati per la fase di Travaglio. A supporto delle attività di Ostetricia e Ginecologia sono inoltre attivi, all’interno della Struttura: un Reparto di Terapia Intensiva Neonatale, connesso con la Rete Emergenza-Urgenza Regionale e con il Sistema di Trasporto in Emergenza Neonatale (STEN) regionale;  il Nido Fisiologico e un Reparto di Chirurgia Pediatrica.
Il punto nascita rappresenta oggi una Struttura di qualità assistenziale, con un elevato comfort alberghiero, una alta qualità della dotazione tecnologica e di organico che consente alla struttura di rispondere pienamente  ai Requisiti Minimi di Legge, richiesti per i Punti Nascita di II livello.
Trattandosi di Struttura di nuova attivazione, sono state implementate fin dall’inizio delle attività procedure finalizzate al contenimento del numero di Parti Cesarei Primari. In particolare con l’ausilio dei docenti della branca di Ostetricia e Ginecologia, è in atto un percorso formativo continuo specifico, dedicato a tutto il personale afferente al punto nascita, che quotidianamente assiste l’utenza. Al momento del parto viene inoltre proposto alle pazienti la possibilità di partorire con la procedura di  Parto-Analgesia, ma anche quella del Parto in Acqua

Il risultati ottenuti sono i seguenti: nel periodo Luglio-Dicembre 2016, il rapporto parti cesarei primari/parti totali è stato pari al 25,6%. Nel primo trimestre 2017, il rapporto si è ulteriormente ridotto al 18,2%, nettamente al disotto degli standard minimi proposti dalla Regione Campania. Il risultato è particolarmente positivo, se si tiene presente che è annessa al Punto Nascita la Terapia Intensiva Neonatale, che rende conto della maggior complessità della casistica ostetrica e, quindi, di una possibile percentuale di parti cesarei primari più elevata.
Anche il numero di parti è da considerarsi pienamente soddisfacente, se si considera che, per soli 10 posti letto attivi, sono stati effettuati 607 parti nei primi 12 mesi, con una media di 60,7 parti/anno per posto letto. Tenendo altresì presente che i primi mesi di attività sono stati inevitabilmente costellati da qualche piccola difficoltà organizzativa, non è azzardato prevedere che, nel secondo anno di attività, i numeri prodotti saranno ulteriormente e sensibilmente migliori.

Uno studio su una malformazione cardiaca congenita, la valvola aortica bicuspide, rivela nuovi e importanti aspetti della patologia, aprendo a potenziali sviluppi anche nel campo chirurgico. Il gruppo di ricerca guidato dai dcoenti Alessandro Della Corte e Marisa De Feo, professori di cardiochirurgia presso il Dipartimento di Scienze Cardio-Toraciche e Respiratorie (diretto da Giovambattista Capasso) dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, da più di 15 anni si impegna nella ricerca clinica e di base sulla patogenesi, la stratificazione del rischio ed il trattamento delle forme di dilatazione aortica associate a valvola aortica bicuspide (BAV). La BAV è la malformazione cardiaca congenita più frequente, presente nel 1-2% della popolazione, con un’incidenza maggiore tra i soggetti di sesso maschile, e che predispone all’aneurisma dell’aorta toracica (“aortopatia bicuspide”). Una sempre maggiore comprensione dei meccanismi alla base dell’aortopatia bicuspide potrebbe essere utile per una ridefinizione delle linee guida per l’intervento chirurgico nei pazienti con BAV. La patologia infatti è fondamentalmente asintomatica, benché le sue possibili complicanze acute, prima fra tutte la dissezione aortica, siano gravate da altissima mortalità. Pertanto, l’identificazione di biomarcatori precoci di dilatazione aortica è particolarmente urgente ed è attualmente oggetto di numerose ricerche in tutto il mondo.

Dopo anni di studi, la sinergia tra discipline diverse, dalla biologia molecolare alla diagnostica per immagini, dalla bioingegneria alla cardiochirurgia, ha condotto il Dipartimento di Scienze Cardio-Toraciche e Respiratorie all’identificazione di un potenziale biomarcatore precoce di dilatazione aortica specifico per i pazienti con BAV.

I risultati dello studio sono stati recentemente pubblicati sulla prestigiosa rivista Circulation Research (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28420669), in un articolo scientifico che ha avuto come autori principali Alessandro Della Corte e Amalia Forte, biologa molecolare presso la nostra Università. A rendere particolarmente interessanti i risultati dello studio è il fatto che il biomarcatore circolante identificato, e cioè il rapporto tra i livelli della citochina TGF-1 e della forma solubile del suo co-recettore endoglina, è predittivo della progressione dell’aortopatia specificamente nei pazienti con BAV. Lo studio evidenzia in particolare come un approccio traslazionale alla ricerca su queste patologie dall’espressione fenotipica alquanto eterogenea possa condurre all’identificazione non soltanto di meccanismi chiave nella loro genesi, ma anche di metodi e principi di “precision medicine” per il loro management clinico.
Questo gruppo di ricerca ha in corso ulteriori studi che riguardano le alterazioni epigenetiche associate alla progressione della dilatazione dell’aorta toracica nei pazienti con BAV rispetto a soggetti sani.

“Numerose evidenze sperimentali hanno ormai stabilito il ruolo chiave delle modifiche epigenetiche dell’espressione genica, in particolare ad opera dei microRNA, nelle alterazioni cellulari associate all’aortopatia", spiega la Forte, che sta attualmente guidando una collaborazione in tal senso con l’Università di Lund, in Svezia, ed i cui risultati preliminari sono stati recentemente pubblicati su Heart and Vessels e su BBA-Molecular Cell Research.

Come per numerose altre discipline, in cui ha espresso ed esprime livelli di eccellenza, l’Università Vanvitelli è rappresentata in ambito internazionale anche dal gruppo di ricerca della cardiochirurgia del Dipartimento di Scienze Cardio-Toraciche e Respiratorie, che è diventato ormai un autorevole riferimento nell’ambito della ricerche sulle patologie cardiovascolari ed in particolare sulle aortopatie. Ciò è testimoniato da numerose pubblicazioni sull’argomento in prestigiose riviste scientifiche, ma anche dal contributo apportato da Della Corte nel Consorzio Internazionale per la Ricerca sulla BAV (BAVCon, c/o Harvard University, Boston, MASS) fin dalla sua fondazione nel 2013, dalla sua recente elezione a membro della Task Force dell’European Association for CardioThoracic Surgery sulle patologie del tessuto connettivo che causano malattie aortiche e valvolari, nonché dalla pubblicazione di un numero speciale della rivista Frontiers in Physiology, section of Vascular Physiology, che i docenti Forte e Della Corte hanno curato in qualità di guest editors. Il numero speciale, ora disponibile gratuitamente online anche come eBook (https://www.frontiersin.org/research-topics/5221/the-pathogenetic-mechanisms-at-the-basis-of-aortopathy-associated-with-bicuspid-aortic-valve-insight) include numerosi contributi da parte dei maggiori esperti internazionali del campo.

L’approccio multidisciplinare, i risultati ottenuti ed il network di collaborazioni instaurate evidenziano e confermano il ruolo rilevante dell’Ateneo Vanvitelli nel panorama internazionale dello studio dell’aortopatia bicuspide e delle altre patologie cardiovascolari.

Come si fa ad onorare la tradizione campana della buona tavola delle festività natalizie senza danneggiare il peso corporeo, probabilmente già da tempo compromesso? Domanda che ci angustia, non facendoci assaporare appieno le delizie del Natale, e che ci induce a immaginare "scenari disastrosi" al cospetto della bilancia dopo l'Epifania. E invece no! Ci sono sono strategie di comportamento che salvano sia il gusto sia il peso; vale a dire: nella tradizione senza danno. Se pensiamo al cenone delle due vigilie, quella di Natale e quella di Capodanno, il pesce la fa da padrone. L'insalata di mare e quella di "rinforzo" (a base di cavolfiore e peperoni) sono poco caloriche se mangiate con pochissimo pane. Un piatto di spaghetti alle vongole con 70 gr. di pasta e 10 vongole rappresentano un equilibrato mix tra gusto e leggerezza. Per il secondo piatto, la porzione dipende dal tipo di pesce e dalla modalità di cottura: se al forno e pesce non grasso, 200 gr., se fritto e pesce grasso (capitone) 100 gr. Il tutto accompagnato da 2 bicchieri di vino bianco. La frutta, una porzione, ed un roccocò o una fettina di pastiera o di cassata posso suggellare il completamento di un cenone più che soddisfacente, senza mettere a repentaglio il peso corporeo. Ovviamente, nell'attesa del cenone, la colazione ed il pranzo della vigilie sono frugali: 100 ml di latte, una fettina di pizza di "scarole" (corrispondente ad un pacchetto di crackers).
La stessa impostazione vale per il pranzo di Natale e per quello di Capodanno, sostituendo i piatti a base di pesce con quelli di carne e, quindi, riducendo leggermente le porzioni. La cena di questi due giorni può essere tranquillamente saltata.
Nei giorni successivi, tra Natale e Capodanno, la strategia prevede pranzi molto leggeri (verdura 300 gr., carne o pesce 130 gr., pane 30 gr., frutta 150 gr.) e cene un bicchiere di latte ed 1 frutto, che pongono rimedio a trasgressioni dietetiche, difficilmente evitabili nelle festività natalizie, così lunghe e così ricche.
E se dsiderate un consulto specializzato, il Reparto di Dietetica e Medicina dello Sport del Policlinico dell'Università "Vanvitelli" è a disposizione di tutti, per porre rimedio ai danni di una scorretta alimentazione e per arginare l'epidemia di obesità, che affligge il mondo industrializzato. Se è vero che "non si ingrassa tra Natale e Capodanno, ma tra Capodanno e Natale", è innegabile che "tra Natale e Capodanno si può aggiunge peso su peso".
Tanti Auguri per un Natale con gusto e senza danno!

Marcellino Monda, docente di Fisiologia all'Università Vanvitelli e Direttore dell'UOC di Dietetica e Medicina dello Sport

La prima sperimentazione dopo lo studio pilota del Centro di Diabetologia Pediatrica della Vanvitelli in collaborazione con l’Università Federico II

Una ricetta di pizza doc napoletana per i bambini diabetici. Dal gemellaggio delle Università Vanvitelli e Federico II, dalla collaborazione col franchising Rossopomodoro e dell’associazione “L’isola che non c’è”, composta da genitori di bambini affetti da diabete mellito di tipo 1, nasce il protocollo sperimentale Pizzatronic. Una sperimentazione che mira a superare la difficoltà di gestione della glicemia dei pazienti diabetici, specialmente in trattamento insulinico, dopo il consumo del pasto pizza.

Non tutte le pizze sono uguali. I pizzaioli si tramandano da anni l’arte della lievitazione lenta alla base di una pizza più gustosa ma soprattutto più digeribile. Quello che è tradizione non è però dimostrato scientificamente. L’esperimento, condotto da Dario Iafusco, docente della Vanvitelli, e dalla sua equipe del Centro Regionale di Diabetologia Pediatrica “G. Stoppoloni”dell’Università Vanvitelli, si svolgerà in due fasi, tra domani, mercoledì 14 marzo e il prossimo mercoledì 21 marzo.

Appuntamento al Centro commerciale Le Porte di Napoli di Afragola dove i bambini saranno accompagnati prima al cinema (un’attività che consentirà loro di arrivare alla cena riposati e con una glicemia bassa) e poi alle 19 alla pizzeria che avrà preparato la pizza a lenta lievitazione (di oltre 24 ore) con la ricetta messa a punto dai diabetologi della Vanvitelli.I bambini saranno monitorati a distanza fino alla mattina successiva attraverso un dispositivo di microinfusione di insulina e di un sensore glicemico che consentirà ai medici di seguire la fase digestiva della pizza.

“La ricetta che abbiamo messo a punto – spiega Iafusco – durante lo studio pilota, è quella di una pizza a lenta lievitazione che può essere tranquillamente mangiata dai bambini diabetici senza che vi siano controindicazioni di alcun tipo. Una pizza che in questo caso sarà preparata dalla pizzeria, ma che le mamme potranno ripetere anche a casa, cuocendola in un normale forno elettrico”.

L’impasto sarà analizzato sia a crudo che a cotto grazie alla partecipazione del Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II, per poter avere un quadro ancora più chiaro e completo della ricetta e del suo impatto sui bambini protagonisti dell’esperimento.

“Mercoledì prossimo si ripeterà tutto nello stesso modo – spiega Angela Zanfardino dell’Università Vanvitelli, responsabile e ideatrice del protocollo – cambierà solo il tipo di pizza. La prossima volta i bambini, sempre nella stessa pizzeria, mangeranno una pizza lievitata solo 8 ore. Attraverso lo stesso sistema di controllo a distanza avremo un monitoraggio in continuo della glicemia, per la loro sicurezza e per aumentare il numero di dati a disposizione degli studiosi”.

Innovazione e tradizione, insomma, per mostrare al modo, con metodo scientifico, il valore della pizza napoletana lentamente lievitata.

 

Il Centro della Vanvitelli attivo con terapie innovative: dall’infusione di Levodopa alla stimolazione cerebrale profonda.
Incontri tra pazienti, caregivers, neurologi. Per la Giornata Nazionale Parkinson, si terrà sabato 25 novembre, dalle ore 9.30, un evento dal titolo "Parkinson: Idee per conoscere" dalle 9.30 alle 13.30  nella sala del Capitolo del Convento San Domenico Maggiore, in Vico San Domenico, 18. La giornata, organizzata dal Centro Parkinson della Prima Clinica Neurologica dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli in collaborazione con l’Ambulatorio Parkinson AORN Cardarelli e con l'Associazione Parkinson Parthenope, prevede una serie di incontri tra pazienti e tutte le figure sanitarie coinvolte nella gestione della malattia. Si affronteranno tutti gli argomenti relativi alla malattia, dalla ricerca sulle nuove terapie, alla riabilitazione. Seguirà l'esibizione di un coro Gospel.

Sono tante le iniziative messe in campo in occasione della Giornata nazionale dedicata alla malattia, promossa da Fondazione LIMPE per il Parkinson Onlus e Accademia LIMPE-DISMOV. L'appuntamento, giunto alla sua nona edizione, ha l'obiettivo di sensibilizzare ed educare la popolazione e non solo. Partono due importanti iniziative: l’avvio del primo studio italiano multicentrico osservazionale per la valutazione dei fattori di rischio e dei fattori protettivi della malattia di Parkinson e un concorso per premiare le idee di volontariato “Il tuo progetto per combattere il Parkinson”.

Il concorso, realizzato grazie al contributo di Charming Italian Chef e della Federazione Italiana Cuochi, invita le Associazioni, pazienti e il mondo del volontariato a elaborare e presentare progetti finalizzati al miglioramento della qualità della vita delle persone con malattia di Parkinson. Tutti i dettagli del concorso sono disponibili su www.giornataparkinson.it.

Il Centro Parkinson dell’Ateneo Vanvitelli porta avanti ormai da anni due tecniche terapeutiche innovative, in grado di migliorare la qualità di vita del paziente: l’infusione intestinale di levodopa, farmaco cardine nella terapia del Parkinson, che viene somministrata continuamente e direttamente nell’intestino dall’esterno, azionando una piccola pompa che il paziente porta a tracolla; la Stimolazione cerebrale profonda (DBS), praticata in collaborazione con l’equipe di Paolo Cappabianca, neurochirurgo dell’Università “Federico II”, che attraverso il posizionamento di due elettrodi in strutture nervose situate profondamente nel cervello e deputate al controllo dei movimenti, consente di modularne il funzionamento. Nel corso degli ultimi anni il Centro Parkinson, coordinato da Alessandro Tessitore, ha intensamente sviluppato queste due tecniche con ottimi risultati.
“Quando la selezione del paziente è accurata – spiega il professor Alessandro Tessitore -  queste terapie garantiscono una stimolazione continua e una risposta terapeutica costante, in grado di contrastare i sintomi invalidanti di questa fase della malattia”.

“Fornire strumenti per superare questioni professionali legate al genere, dare consapevolezza alle donne in quanto tali e in quanto professioniste del settore, rivolgendoci alle dirigenti del domani ”. Questi gli obiettivi principali dell’Associazione Women for Oncology, spin-off dell’ ESMO (European Society for Medical Oncology), nata ufficialmente nel mese di gennaio, ma di fatto operante già da due anni, grazie al lavoro di alcune oncologhe italiane, fra cui Erika Martinelli, ricercatrice dell’Università Vanvitelli, che ci ha spiegato come si sviluppa il lavoro di questa associazione tutta al femminile.
 
“Solo il 13% dei primari in oncologia sono donne, i motivi di tale divario sono molteplici: in primis viene persa la consapevolezza di poter raggiungere determinati livelli lavorativi sia per cultura sia problemi legati all’ambito familiare, spesso infatti è difficile per le professioniste donne bilanciare work life balance”. La Women for Oncology offre programmi di coaching che hanno come scopo la risoluzione di tali problematiche e mira alla formazione di un network fra le oncologhe donne per rendere facile il confronto in campo medico-scientifico e professionale in generale.
 
Come ha lavorato l’associazione in questi anni? 
“Abbiamo organizzato vari congressi a numero chiuso che avevano come target donne fra i 35 e i 55 anni provenienti da tutta Italia fornendo competenze su, ad esempio, come comunicare al meglio con il paziente, come organizzare il gruppo di lavoro e programmi di leadership su come gestire al meglio l’ambiente lavorativo”. 
 
Il progetto della Women for Oncology ha portato all’organizzazione di un evento educazionale, di rilevanza nazionale, che si è svolto a Milano… 
” Abbiamo organizzato un vero e proprio post-ESMO dove esperti nazionali hanno discusso di dati scientifici rilavati durante il congresso europeo di oncologia ma non ci siamo fermate: l’ultimo evento di cui ci siamo occupate si è svolto a Montecitorio il 26 gennaio scorso incentrato sulla lotta alle fake news in campo oncologico” 
Che cosa comporta la divulgazione di una notizia falsa in oncologia?
 
“Le Fake news nel nostro ambito rappresentano un serio problema sia per il medico che per il paziente. Basti pensare alla miriade d’informazioni assolutamente non filtrate a cui il malato oncologico ha libero accesso sul web, che non solo pregiudicano il rapporto medico-paziente ma purtroppo rappresentano un rischio reale per la salute del malato. Con questo tavolo tecnico di lavoro sulla lotta alle notizie false abbiamo cercato di coinvolgere gli organi politici e di stampa per sensibilizzarli sulla questione.”
 
Lei ha mai ricevuto richieste particolari da parte di pazienti che avevano letto qualche notizia falsa sul web?
“Certo, molteplici.”
 
Ad esempio?
“Dei pazienti iniziarono ad assumere veleno di scorpione, seguendo naturalmente notizie prese dal web, poichè credevano che potesse seriamente guarirli. Pensi che questo veleno è reperibile a Cuba e quindi sono partiti e sono arrrivati fin lì per comprarlo. Oppure ad esempio una signora lamentava disturbi che imputava interamente alla terapia a cui era sottoposta quando invece erano derivati dal miscuglio di curcuma con altre erbe officinali che stava assumendo credendo di migliorare la sua condizione.”
 
La  Women for Oncology Italy è formata da nove oncologhe provenienti da tutta la Penisola: 
Erika Martinelli – Università della Campania Luigi Vanvitelli, Napoli
Rossana Berardi – Università Politecnica delle Marche, Ancona
Fabiana Letizia Cecere – Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, Roma
Rita Chiari – Azienda Ospedaliera di Perugia
Marina Chiara Garassino – Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori, Milano
Valentina Guarneri – Università degli Studi di Padova, IOV IRCCS
Nicla La Verde – ASST Fatebenefratelli Sacco, Milano
Laura Locati – Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori, Milano
Domenica Lorusso – Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori, Milano
 
Articolo a cura di Margherita Tamburro, studentessa in lettere al Dipartimento di Lettere e Beni Culturali

Microalghe e piante terrestri contro il melanoma. Ha dato risultati positivi la sperimentazione contro il melanoma di un vaccino derivato da prodotti naturali presenti in microalghe e in piante terrestri. Il prodotto, messo a punto da un team di ricerca del quale fa parte l’Università Vanvitelli insieme all’Icb-Cnr e all’Università di Genova, agisce stimolando il sistema immunitario a controllare la proliferazione delle cellule tumorali e degli agenti patogeni. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Report.

Il Dipartimento di Clinica interna e sperimentale dell’Università Vanvitelli, infatti, con l’Istituto di chimica biomolecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Icb-Cnr) e con il Centro di eccellenza per le ricerche biomediche dell’Università di Genova e il dipartimento di Clinica interna e sperimentale dell’Università della Campania, ha identificato un nuovo componente vegetale per la preparazione di vaccini e dimostrato la sua efficacia contro un modello sperimentale di melanoma. Il composto, denominato Sulfavant, deriva da prodotti naturali presenti in microalghe marine e in piante terrestri e agisce stimolando le cellule dendritiche, prima linea di difesa del sistema immunitario e responsabili del riconoscimento di agenti pericolosi per l’organismo. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature. Il nuovo composto è stato brevettato e l’Istituto del Cnr ne sta progettando lo sviluppo attraverso un accordo con la società spin-off bioSEArch, nata dalla collaborazione con la Stazione Zoologica ‘A. Dohrn’.

"In questo lavoro descriviamo una nuova serie di sostanze, estratte da organismi marini, in grado di potenziare le risposte immunitarie verso i tumori – spiega Raffaele De Palma, docente di Immunologia Clinica ed Allergologia dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli -  La disponibilità di queste sostanze apre la strada per l'esplorazione di nuovi approcci per la modulazione del sistema immune in varie patologie come quelle neoplastiche e quelle infiammatorie croniche, in cui il Sistema Immunitario svolge un ruolo determinante".

“La stimolazione delle cellule dendritiche che caratterizza il Sulfavant, determinando il potenziamento della difesa naturale dell'organismo, rende il composto utilizzabile per lo sviluppo di trattamenti preventivi o terapeutici in varie malattie - spiega Angelo Fontana dell’Icb-Cnr - L’origine naturale della molecola e l’assenza di tossicità rilevata dai primi studi ci rende fiduciosi che possa essere utilizzato nella preparazione di vaccini”.
I composti che svolgono questa azione di potenziamento della risposta immunitaria evocata dagli antigeni sono chiamati adiuvanti e sono necessari per la preparazione dei vaccini di ultima generazione, inclusi quelli in fase di studio per aumentare la risposta immunologica contro i tumori.

“Questa forma di trattamento, che rientra nelle cosiddette immunoterapie, è un nuovo e promettente approccio alla lotta ai tumori e il suo successo è legato all’efficacia con cui le sostanze adiuvanti sono in grado di stimolare la fisiologica capacità dell'organismo di eliminare le cellule con mutazioni cancerogene e di tenere sotto controllo o bloccare sul nascere la formazione di nuovi tumori”, conclude Fontana“. A rendere particolarmente interessante il risultato ottenuto con Sulfavant sono le caratteristiche farmaceutiche del nuovo composto e il fatto che è risultato efficace nel trattamento di modelli sperimentali di neoplasie aggressive, come il melanoma. Prossimo obiettivo dello studio è la validazione dell’attività in altri modelli sperimentali, compreso quelli infettivi, e l’identificazione del bersaglio cellulare che, stimolato da Sulfavant, determina l'attivazione delle cellule dendritiche”.

Il post vacanza, si sa, è sempre un po’ duro da affrontare. Conciliare casa, famiglia e lavoro può risultare faticoso e dare luogo a sensazioni spiacevoli di ansia, disagio o disorientamento. Come ripartire con la carica giusta per affrontare il rientro?


A cura di Alessandro Lo Presti, docente di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni al Dipartimento di Psicologia dell'Università Vanvitelli

Affrontare questo tema significa innanzitutto riflettere attorno a tre aspetti diversi, ma complementari: vita, lavoro e sé stessi. Suggerire delle strategie per armonizzare vita e lavoro non può che fondarsi su di una sommaria analisi di tali ambiti, i quali pongono tutta una serie di istanze e offrono risorse e richieste con le quali fare i conti.

Ascoltarsi
Conciliare ambiti di vita e lavoro significa innanzitutto ascoltare sé stessi e interrogarsi su tutta una serie domande alle quali solo in parte si può rispondere individualmente, e che, auspicabilmente, dovrebbero vedere il coinvolgimento dei propri cari, nell’interesse dei propri obiettivi, personali e professionali nonché di quelli della famiglia e dei suoi membri (pensiamo alle esigenze dei nuclei familiari dual-earner, ovvero in cui entrambi i partner lavorano):
-    A cosa voglio dare priorità: lavoro o famiglia/vita?
-    Posso e/o voglio tenere vita e lavoro in compartimenti stagni o lasciare che si intreccino?
-    Quali sono le esigenze di carattere familiare irrinunciabili e alle quali devo dare massima priorità?
-    Su quali risorse familiari posso contare per organizzare al meglio i miei tempi di vita e lavoro?
-    Come si concilia tutto ciò con i miei obiettivi di carriera e con quelli del/la mio/a eventuale partner?
-    Quali strumenti e servizi di conciliazione offre la mia azienda e qual è la sua sensibilità a riguardo?

Riorganizzare i carichi di lavoro in famiglia
Per la maggior parte delle persone il versante familiare è quello a cui si dà più importanza: che si parli di lavori domestici o di cure parentali, il tempo e le responsabilità a esse connesse possono ricadere in maniera impari sui componenti della famiglia. Tuttavia, queste istanze possono essere differenziate sia in termini di sistema familiare che rispetto al particolare momento del ciclo di vita che sta vivendo il nucleo familiare:
decidere, d’accordo con il proprio partner, come affrontare i compiti fissi da svolgere, ad esempio, oppure coinvolgere i bambini nello stabilire alcune regole riguardanti la casa, come il riordino della propria stanza prima di andare a letto, possono essere sicuramente degli escamotage utili per far sì che ogni membro si senta coinvolto nel gruppo famiglia, e consentirebbe, allo stesso tempo, di alleggerire le mansioni del singolo, che ancora troppo spesso è la donna.

Chiedere aiuto in famiglia
Anche la famiglia può fornire risorse a supporto della conciliazione: è importante poter individuare nei propri cari un supporto, una valvola di sfogo alle comuni difficoltà quotidiane di carattere lavorativo e non.

Arricchimento, non conflitto
Qualche volta l’organizzazione delle incombenze familiari, le situazioni affrontate, le difficoltà anche di tipo ambientale che poi sono state risolte, possono portare a sviluppare nuove competenze ed esperienze che possono essere valorizzate in ambito lavorativo: ad esempio, le competenze sviluppate durante la ristrutturazione di casa potrebbero tornare utili per trattare coi fornitori a lavoro. E’ importante, dunque, che l’esigenza di conciliare non vada vista solo in un’ottica compensatoria, ovvero di ridurre il conflitto, ricordando le soluzioni scelte nelle esperienze pregresse che hanno portato a un arricchimento personale.

Valutare altre risorse
C’è un asilo comunale che può occuparsi dei bambini? E’ possibile chiedere aiuto ai nonni? Ci si può organizzare con altri genitori per le attività extra – scolastiche? A chi posso rivolgermi per un aiuto con un genitore anziano? Mai dimenticare le influenze della famiglia più ampia, dunque, in termini sia di risorse, che di istanze, e valutare attentamente la disponibilità di servizi messi a disposizione dallo Stato.

Fare squadra con i propri colleghi
L’ambito lavorativo viene solitamente messo al primo posto per assicurare continuità di reddito. Le strategie per migliorare l’attività lavorativa sono simili a quelle da adottare nell’ambito familiare, con una differenza: l’organizzazione in termini di ruoli, risorse ed istanze, è più complessa, e tutto avviene contemporaneamente, e non sempre sinergicamente, a più livelli: colleghi di lavoro, supervisore/capo-ufficio, organizzazione nel suo complesso. Facciamo degli esempi: si potrebbe godere del supporto dei propri colleghi per questioni inerenti la conciliazione (es. “ti copro io mentre fai quella telefonata urgente a casa”) per poi invece trovare un ostacolo nel proprio supervisore o nelle policy aziendali (es. “non concediamo permessi straordinari per le malattie dei figli”). Ovviamente tali dinamiche risentono delle normative a disposizione (es. Legge 53/2000) ma soprattutto della loro applicazione a livello organizzativo.
Fermo restando che tale applicazione, per ovvie ragioni, è solitamente più puntuale nel settore pubblico piuttosto che nel privato, una variabile spesso ignorata ma che risulta invece fondamentale è la cultura organizzativa della propria azienda, e in particolare quegli aspetti che riguardano appunto la conciliazione lavoro-famiglia. Da almeno due decenni ci si è resi conto che le aziende possono essere più o meno sensibili rispetto alle necessità di conciliazione dei propri dipendenti, e questo appunto si riflette non solo nell’applicazione puntuale delle leggi, ma anche nell’implementazione di iniziative e servizi aggiuntivi e spesso fondamentali (es. job sharing, asilo nido aziendale, voucher di formazione).

Famiglia e lavoro, ambiti distinti sì o no?
Veniamo infine all’ultimo aspetto, quello più importante, ovvero sé stessi. Questo perché quanto detto sinora viene a declinarsi differentemente (ad esempio in termini di effetti più o meno positivi o negativi) in funzione delle percezioni, delle aspettative e degli obiettivi individuali. La distinzione fondamentale, che a cascata si riflette su tutte le variabili sopracitate, è l’orientamento individuale alla conciliazione di lavoro e aspetti di vita personale: ovvero, possiamo distinguere tra coloro che tendono a “segregare” o “compartimentalizzare” i due ambiti, quindi tracciando una netta linea di demarcazione tra i due (es. “a lavoro non si parla di casa, e viceversa!”), e coloro i quali invece tendono a creare una commistione tra i due o comunque a lasciare che i confini tra questi siano più permeabili all’intrusione delle istanze reciproche.
La strada giusta non esiste aprioristicamente, ma dipende da tanti fattori: dal momento di vita dell’individuo,  quindi dal grado di salienza ovvero di importanza e di priorità che ognuno di noi dà alla famiglia piuttosto che al lavoro, dallo status  (per un single e/o per un giovane è più facile compartimentalizzare) dal tipo di lavoro svolto (un Dirigente con molte responsabilità tenderà meno a tenere gli ambiti separati), dalle dinamiche proprie della contemporaneità (l’aumento dei tempi di lavoro, la necessità di rendersi multitasking, la precarizzazione lavorativa), dall’essere uomo o donna (la forte diffusione, in alcuni contesti, di stereotipi di genere fa sì, ad esempio, che più facilmente la donna sia spinta a sacrificare l’ambito lavorativo a favore di quello familiare, lasciando ancora una volta al partner maschile il ruolo di breadwinner.)

Un’indagine nazionale volta ad identificare le conoscenze in merito alla salute riproduttiva e sessuale degli studenti universitari tramite la compilazione un questionario anonimo. 
Per la prevenzione e la cura delle patologie della sfera sessuale e riproduttiva, spesso sono sufficienti poche norme pertinenti lo stile di vita. Testare la conoscenza degli studenti universitari sui comportamenti a rischio diventa, dunque, un prerequisito essenziale per lavorare nell’ottica della prevenzione e la cura di patologie che influenzano negativamente la salute riproduttiva delle coppie, il tasso di natalità e i costi per il Sistema Sanitario Nazionale.


Sul sito https://www.abcriproduzione.it/ è possibile accedere ad un questionario anonimo immaginato per gli studenti universitari dal Centro Nazionale per la prevenzione e il Controllo delle Malattie del Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità e il Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università di Roma “Sapienza".

Un primo passo per aiutare i giovani adulti ad una sessualità più sicura e consapevole e a preservare la loro salute riproduttiva.

Due Bollini rosa all’Azienda ospedaliera Policlinico dell’Università Vanvitelli. Un premio per l’offerta di servizi dedicati alla prevenzione, diagnosi e cura delle principali patologie femminili, con particolare attenzione alle esigenze delle donne, riconosciuto dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda), da sempre impegnata sul fronte della promozione della medicina di genere, dal 2007 attribuisce alle strutture ospedaliere attente alla salute femminile.
Tre i criteri di valutazione con cui sono stati giudicati gli ospedali candidati: la presenza, all’interno delle aree specialistiche di maggior rilievo clinico ed epidemiologico, di servizi rivolti alla popolazione femminile, appropriatezza dei percorsi diagnostico-terapeutici, a garanzia di un approccio alla patologia in relazione alle esigenze della donna e offerta di prestazioni aggiuntive legate all’accoglienza in ospedale e alla presa in carico della paziente, come la telemedicina,  la mediazione culturale e il servizio di assistenza sociale.
Diverse le novità della nuova edizione del Bando: sono state introdotte due nuove specialità, la geriatria e la pediatria, è stata valutata anche la presenza di percorsi “ospedale-territorio” soprattutto nelle aree specialistiche che riguardano patologie croniche come cardiologia e diabetologia e, nell’ambito dell’accoglienza in ospedale, da quest’anno è stato dato rilievo anche alla presenza del servizio di Pet-Therapy rivolto ai pazienti ricoverati.
Sul sito www.bollinirosa.it dall’8 gennaio 2018 è possibile consultare le schede degli ospedali premiati, suddivise per regione, con l’elenco dei servizi valutati. Tramite un apposito spazio riservato agli utenti è possibile lasciare un commento sulla base dell’esperienza personale che viene poi condiviso da Onda con gli ospedali interessati.
Come per le precedenti edizioni, anche per il prossimo biennio, grazie a un accordo con Federfarma, le 17mila farmacie distribuite su tutto il territorio nazionale forniranno alla clientela femminile indicazioni per trovare l’ospedale a “misura di donna” più vicino.

La Clinica Oculistica dell'Università Vanvitelli entra nella Rete Europea di Riferimento per le malattie oculari rare con un nuovo reparto ad essi dedicate, un centro che a Napoli accoglie e cura pazienti con malattie rare fornendo un percorso diagnostico veloce grazie a tecnologie e sistemi all'avanguardia.

"Impegnarsi nella ricerca e cura di malattie rare è una scelta di valore - ha dichiarato il governatore De Luca - e oggi con l'inaugurazione di questo centro di eccellenza nella cura di patologie oculari si è aperta davvero una stagione interessante per la sanità nella nostra regione. Grazie a voi abbiamo un motivo in più per essere orgogliosi di Napoli e della Campania perché proprio sulle malattie rare si misura l'eccellenza dei servizi di un territorio".

Il centro rappresenta da anni un punto di riferimento nazionale nella cura delle malattie oculari rare. I pazienti provengono non solo dalla Campania e dal Sud Italia ma anche, in buona parte, dal Piemonte, dall'Emilia Romagna e dalla Lombardia. Fitta è l'attività di ricerca scientifica e diversi i trattamenti offerti dal centro, che si avvale di un gruppo di eccellenza coordinato da Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., Professore ordinario e Direttore della clinica oculistica.

Tra le innovazioni tecnologiche sviluppate nel centro più all’avanguardia, c'è la diagnosi precoce di malattia e le nuove terapie in fase di sperimentazione per la retinite pigmentosa, la degenerazione maculare giovanile e la degenerazione maculare senile.