Un test genetico per curare efficacemente i neonati colpiti dall’asfissia perinatale. Potrebbe essere questa la strada per migliorare le strategie terapeutiche per un evento che rappresenta ad oggi la principale causa di morte e neurodisabilità nel neonato a termine. Evento del tutto inatteso che si verifica al momento del parto a causa del mancato apporto a livello cerebrale di sangue e ossigeno.

Nuove prospettive le ha aperte lo studio di un team di ricercatori guidato da Paolo Montaldo, dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, in collaborazione con il team dell’Imperial College London, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Jama Network (Whole-Blood Gene Expression Profile After Hypoxic-Ischemic Encephalopathy | Pediatrics | JAMA Network Open | JAMA Network).

La ricerca si è focalizzata sulle differenze nei profili di espressione genica nei neonati affetti da asfissia perinatale nati nei paesi sviluppati e neonati nati in India, Sri Lanka e Bangladesh così da comprendere perché una popolazione (la prima) beneficerebbe del trattamento ipotermico e l’altra (quella del Sud Asia) no. Dallo studio è emerso infatti che il profilo di espressione genica subito dopo la nascita, associato ad outcome avverso, è significativamente differente: nel caso dei nati nei paesi in via di sviluppo, si tratterebbe di un’asfissia non acuta ma bensì di un processo di sofferenza che inizierebbe già nel grembo materno, e quindi al di fuori della finestra di efficacia del trattamento ipotermico.

“Abbiamo evidenziato – spiega Montaldo – che nel caso dei neonati del Sud Asia si tratta di un processo che si instaura più lentamente, tanto da persistere nel tempo. Probabile, che altri fattori agiscano nei paesi in via di sviluppo come malnutrizione, basso peso alla nascita ed insufficienza placentare. Questo cambia l'efficacia delle strategie di neuroprotezione che noi usiamo. Ad esempio, l'ipotermia terapeutica che consiste nel ridurre la temperatura corporea a 33.5°C per 3 giorni, ha un'efficacia estrema solo se iniziata entro alcune ore dall'instaurarsi dell'ipossia acuta perché agisce rallentando il metabolismo cerebrale. Se tuttavia l'ipossia si instaura più lentamente ed in maniera non acuta, il danno cerebrale è mediato soprattutto da un processo di stress ossidativo e flogosi”.

Ecco perché avere un test genetico che possa un domani dare queste informazioni, potrebbe guidare i medici sulla migliore strategia terapeutica. “Attualmente – continua Montaldo - la terapia elettiva è rappresentata dall’ipotermia terapeutica, che consiste nel ridurre la temperatura corporea del neonato poco dopo la nascita, così da limitare i danni dell’insulto ipossico-ischemico. Tuttavia, nonostante questo trattamento, oggi oltre 2 milioni di neonati presenta danni cerebrali permanenti. Pertanto, l’ipotermia terapeutica da sola sembrerebbe essere solo parzialmente efficace e addirittura di nessuna efficacia per i bambini nati nei paesi in via di sviluppo, sui quali invece potrebbe essere più efficace l'eritropoietina “.

La sfida, dunque, è individuare quali sono i bambini che necessitano di un trattamento e come curarli al meglio. Questa ricerca, oltre a chiarire i meccanismi fisiopatologici alla base del danno ipossico ischemico, fornisce basi solide per future strategie terapeutiche con il potenziale di sviluppare un test nel sangue che guidi i neonatologi nel processo decisionale al fine di ottimizzare la strategia di neuroprotezione sia nei paesi in via di sviluppo come anche nei paesi sviluppati come il nostro.

 

Premio “Migliore Giovane Ricercatore italiano under 40” - nell'ambito del 76° Congresso Nazionale della Società Italiana di Anatomia e Istologia (SIAI), per Giovanni Cirillo, Ricercatore RTD-B e docente di Anatomia Umana nel Dipartimento di Salute Mentale e Fisica e Medicina Preventiva dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”. 

La commissione giudicatrice della SIAI presieduta dal prof. Lucio Cocco, Presidente della SIAI e Ordinario presso l’Università di Bologna, ha premiato il ricercatore napoletano/vesuviano, afferente al gruppo di ricerca dell’Ateneo Vanvitelliano “Laboratorio di Morfologia delle reti neuronali e dei sistemi biologici complessi, coordinato dal prof. Michele Papa, per l’eccellenza dei risultati ottenuti nella ricerca scientifica in campo
morfologico e per la qualità dell’attività scientifica nel campo delle Neuroscienze.

Incidere sul funzionamento dell’orologio biologico delle cellule per rallentare la crescita di quelle tumorali. Un importante passo avanti nella ricerca contro il cancro è stato compiuto dal team di ricercatori guidato da Sandro Cosconati, docente del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali e Farmaceutiche dell’Università Vanvitelli. In collaborazione con la Prof.ssa Hilda Picket del Children's Medical Research Institute (CMRI) di Sydney, i risultati di questa innovativa scoperta sono stati condivisi recentemente sulla prestigiosa rivista Cell Chemical Biology (https://authors.elsevier.com/c/1iDJY8jWWJtYH9) in cui figurano come primi autori Alex Sobinoff (CMRI) e Salvatore Di Maro (Vanvitelli).
Lo studio si focalizza su un componente chiave del complesso multiproteico denominato shelterin, il telomeric repeat-binding factor 2 (TRF2), che svolge un ruolo essenziale nella regolazione dell'omeostasi telomerica e nella stabilità genomica e sembra essere implicato nel processo di tumorigenesi.
"I telomeri - spiega Cosconati - spesso considerati l'orologio biologico delle cellule, svolgono un ruolo cruciale nel determinare il destino cellulare, bilanciando tra la morte cellulare programmata, nota come senescenza, e la possibilità di immortalità. Posti alle estremità dei cromosomi, questi segmenti di DNA fungono da chiari indicatori del numero di divisioni cellulari a cui una cellula può ancora sottoporsi. La loro regolazione precisa è fondamentale: telomeri troppo corti possono innescare il processo di senescenza, mentre un allungamento eccessivo potrebbe favorire la trasformazione tumorale delle cellule.
Lo studio dunque si focalizza su un elemento chiave nel complesso quadro di regolazione dei telomeri: il telomeric repeat-binding factor 2 (TRF2), parte integrante del complesso multiproteico noto come shelterin. TRF2 è vitale per controllare la stabilità dei telomeri e il suo coinvolgimento nello sviluppo di tumori è ampiamente riconosciuto".

Il team ha ideato molecole innovative in grado di legarsi in modo irreversibile a TRF2. Tra queste, APOD53 ha dimostrato di innescare una risposta di danno al DNA nei telomeri, generando stress durante la replicazione cellulare e interferendo con il corretto funzionamento di proteine regolatrici. Attraverso questo meccanismo, APOD53 ha mostrato la sua capacità di rallentare la crescita delle cellule tumorali, indipendentemente dal tipo di meccanismo di allungamento dei telomeri utilizzato, preservando al contempo la vitalità delle cellule sane.

"Questo successo è il risultato di anni di impegno e della preziosa collaborazione con la professoressa Hilda Picket - dice ancora Cosconati - Abbiamo aperto nuove prospettive nella comprensione e nel potenziale trattamento del cancro. APOD53 rappresenta un significativo passo avanti, ma ci sono ancora sfide da affrontare per traslare questa promettente scoperta in fase pre-clinica e clinica."
Questa ricerca non solo fornisce basi solide per futuri sviluppi terapeutici, ma sottolinea anche l'importanza della cooperazione internazionale nella ricerca scientifica. Lo studio è frutto di una collaborazione anche con altri gruppi dell'ateneo, come quelli dei docenti Angela Chambery, Paolo Vincenzo Pedone e Lucia Altucci, ma anche grazie al sostegno ricevuto dalla Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro, che ha scelto di finanziare le sue ricerche nel 2021 attraverso un Investigator Grant. Ciò conferma che l'impegno finanziario, lo studio e le collaborazioni interdisciplinari sono gli elementi fondamentali di una formula che, in un futuro prossimo, ci condurrà verso progressi sempre più significativi nella cura del cancro.

Presentazione dell’innovativa strumentazione alle ore 10 nella sede del Rettorato di Caserta

Una radioterapia, la BNCT – Boron Neutron Capture Therapy –, in grado di colpire solo le cellule malate risparmiando quelle sane, riducendo così le complicanze legate a questo tipo di terapia.  La BNCT sarà presentata il prossimo 14 settembre, nella sede del Rettorato di Caserta in viale Ellittico 31, dalle ore 10,  nell’ambito del progetto di ricerca Anthem  a valere sui Fondi complementari al PNRR e che ha come capofila l’Università di Milano Bicocca con la collaborazione dell’Università Vanvitelli e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). Interverranno il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, e il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca.

Un progetto che si struttura su 4 assi/obiettivi:

- Nuove tecnologie per migliorare l’assistenza sanitaria;

- Incremento della Telemedicina;

- Ricerca finalizzata al miglioramento delle terapie;

- Aggiornamento del parco tecnologico per la ricerca di base in campo oncologico.

E’ proprio su questo ultimo obiettivo che sarà realizzato entro un massimo di 4 anni il nuovo e rivoluzionario sistema di radioterapia BNCT che utilizza il Boro come sorgente di neutroni che permette di colpire solo le cellule neoplastiche risparmiando le cellule sane, rendendo molto più efficace, ma soprattutto più sicura, la radioterapia nel paziente oncologico e in particolare nel paziente oncologico anziano e fragile.

Sarà il primo macchinario del genere in tutto il Centro Sud Italia, il secondo in tutta Italia.

Nel Progetto, in particolare, l’INFN ha come obiettivo quello della costruzione della BNCT, mentre l’Ateneo Vanvitelli è impegnato per l’allestimento degli  spazi necessari per l’installazione: circa 2000 mq nei quali sono previste aree dedicate alla ricerca e ad attività cliniche per i ricercatori della Vanvitelli, idonei al contenimento e al funzionamento di tale strumento terapeutico di avanguardia mondiale. Strumento che farà della Regione Campania un centro di riferimento Europeo per la terapia oncologica.

“La realizzazione di questo progetto – ha commentato il Rettore dell’Università Vanvitelli, Gianfranco Nicoletti – farà della Regione Campania, e dunque del nostro Ateneo, un centro di riferimento Europeo per la terapia oncologica. Grazie ai fondi complementari al PNRR e alla sinergia con l’Università Bicocca e l’INFN, tanti ricercatori potranno lavorare con queste rivoluzionarie strumentazioni e sia la ricerca che le terapie cliniche beneficeranno di un parco tecnologico di così elevato livello. Sarà una punta di diamante in un’Università che già vanta diversi primati in campo oncologico e più in generale in quello della ricerca scientifica internazionale”.

“Il progetto Anthem, che nasce anche per abbattere le differenze tra i sistemi sanitari regionali – ha sottolineato la Rettrice dell’Università di Milano-Bicocca, Giovanna Iannantuoni –, intende promuovere un'innovazione non solo scientifica ma anche politica e sociale, nella logica della migliore valorizzazione possibile dei fondi del Piano Complementare. Riunendo eccellenze italiane sia pubbliche sia private su tutto il territorio nazionale, il consorzio Anthem si pone l’obiettivo di migliorare la salute e la qualità della vita delle persone e dei pazienti fragili, grazie a soluzioni di tecnologia avanzata, protocolli di monitoraggio a distanza e trattamenti di medicina personalizzata”. 

Mettere insieme i dati sull'evoluzione della malattia di 800mila pazienti affetti da Diabete di tipo 2 per dare vita a una sorta di gemelli virtuali. Un gigantesco lavoro di sistemazione di dettagli e prognosi per riuscire a fare previsioni personalizzate della patologia e dunque per garantire terapie appropriate.

Facendo un significativo passo avanti verso il progresso della medicina di precisione, un gruppo di ricerca, coordinato dal Prof. Dr. Jan Baumbach dell’Università di Amburgo (Germania), con l'Università Vanvitelli con i dipartimenti di Precisione e di Scienze Mediche e Chirurgiche Avanzate, e altri 12 partner provenienti da sette paesi, ha ricevuto un prestigioso finanziamento Horizon Europe per lo sviluppo di un’infrastruttura comune all’avanguardia dei dati sanitari. Il progetto, denominato “dAIbetes”, si concentra sull'utilizzo di gemelli virtuali come strumenti prognostici nella gestione personalizzata della malattia, mirando specificamente agli esiti del trattamento nel diabete di tipo 2. Il progetto ha avuto inizio il 1° gennaio 2024.

Nel perseguimento dei suoi obiettivi, dAIbetes mira ad ottenere una previsione personalizzata degli esiti di terapia nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 - una condizione che colpisce 1 adulto su 10 a livello globale, con una spesa annua di circa 893 miliardi di euro. I partner metteranno insieme e organizzeranno i dati di circa 800.000 pazienti affetti da diabete di tipo 2 distribuiti in tutto il mondo in una rete specializzata comune di banche dati e li utilizzeranno per formare gemelli virtuali come strumenti prognostici. Dopo la validazione, questi modelli verranno applicati nella pratica clinica reale attraverso un software dedicato. In definitiva, i risultati aiuteranno a colmare l’attuale mancanza di linee guida sui risultati previsti per il trattamento di pazienti specifici. Il progetto cerca di dimostrare che le previsioni personalizzate provenienti da modelli di gemelli virtuali comuni hanno un errore di previsione inferiore di almeno il 10% rispetto ai modelli basati sulla media della popolazione.

DAIbetes riunisce un consorzio multidisciplinare con competenze in intelligenza artificiale, sviluppo di software, protezione della privacy, sicurezza informatica, nonché diabete ed il suo trattamento. Lo sforzo collaborativo mira a creare un modello per superare l’antagonismo tra privacy e big data nella ricerca transnazionale sul diabete ed oltre.

Il consorzio è impegnato a far avanzare le frontiere della ricerca medica, migliorando in definitiva i risultati dei pazienti e contribuendo allo sviluppo globale della medicina di precisione.

Partner del consorzio:
Universität Amburgo, Germania
Il Brigham Women’s Hospital, Inc, Stati Uniti d’America
Friedrich-Alexander-Universitaet Erlangen-Nuernberg, Germania
Gnome Design SRL, Romania
Istituto di ricerca AG & Co KG, Austria
tp21 GmbH, Germania
SBA Research gGmbH, Germania
Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, Italia
Università degli Studi di Roma La Sapienza, Italia
Medizinische Universitaet Wien, Romania
Joslin Diabetes Center INC, Stati Uniti d'America
Regione Stoccolma, Svezia
Semmelweis Egyetem, Ungheria

 Premio AIRCMO 2023 alla ricerca “Safety and Efficacy og Gene Transfer for Leber’s Congenital Amaurosis“ pubblicata su The New England Journal of Medicine e diretta da Francesca Simonelli, professore ordinario di Malattie dell'apparato Visivo dell'Ateneo Vanvitelli e responsabile dell'UOC di Oculistica. 

Il premio AIRCMO è assegnato a un'equipe di ricercatori che si sia particolarmente distinta nell'ambito specifico di studio applicativo. Nell’ambito delle iniziative volte a favorire la ricerca scientifica e medica, l’Associazione istituisce un premio biennale, da assegnare a un’equipe di ricercatori che si sia particolarmente distinta nell’ambito specifico di studio applicativo; finanzia inoltre centri di ricerca e favorisce la costituzione di comitati scientifici ad hoc. 

La valutazione scientifica e l’impatto “sociale/operativo” sono i cardini su cui ruota e vive la scelta delle ricerche destinate ad essere selezionate per il Premio AIRCMO.
Una giuria composta da affermati professionisti in ambito medico-scientifico, in forma completamente anonima, opera la scelta della ricerca migliore basandosi su una precedente selezione effettuata da consulenti scientifici. Solo dopo questa delicata e approfondita selezione viene individuata la ricerca da premiare

Una nuova terapia per combattere la sindrome Fanconi Bickel. La speranza arriva dallo studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Science Translational Medicine, realizzato dal gruppo di ricerca del Laboratorio di Nefrologia Traslazionale di Biogem e Università Vanvitelli guidato da Francesco Trepiccione, e riguarda una malattia ultra-rara, nota anche come Glicogenosi 11.

La nuova terapia, basata sulla somministrazione di un farmaco già in uso per il diabete mellito, è il frutto di un lavoro di sperimentazione realizzato nei laboratori di Biogem e offre nuove prospettive per i pazienti che sono esposti, nelle prime fasi della vita, a una disfunzione renale e ad un alto rischio di ipoglicemia severa e poi a problemi di accrescimento osseo e complicanze elettrolitiche, quali acidosi metabolica e ipopotassiemia.

‘’Un modello di questa malattia – spiega il professore Trepiccione - è stato generato nei topolini dello stabulario di Biogem e si è notato che in alcune cellule del rene, chiamate del tubulo prossimale, il glucosio, normalmente riassorbito, viene intrappolato e convertito in glicogeno, che, accumulandosi, mima l’effetto di una grossa spugna all’interno della cellula, rigonfiandola e alterandone severamente molte funzioni’’.

‘’Dopo aver capito, anche grazie a sofisticate apparecchiature in dotazione a Biogem (come la microscopia multifotoni), perché il rene si ammala – rivela Trepiccione - abbiamo avuto l’intuizione di preservare queste cellule, somministrando un farmaco, già in uso per il diabete mellito, che riduce la loro capacità di riassorbire ulteriore glucosio e quindi di intossicarsi (gluco-tossicità). I risultati ottenuti sono stati così promettenti che abbiamo traslato la nostra ricerca applicandola ad un paziente affetto dalla sindrome di Fanconi-Bickel e seguito nell’ambulatorio di tubulopatie rare del Policlinico Vanvitelli’’.

‘’Dopo tre mesi di trattamento – conclude il ricercatore della Vanvitelli - abbiamo osservato il miglioramento di alcuni indici e soprattutto l’assenza di eventi avversi che ne sconsigliassero l’utilizzo. Migliorava in particolar modo la fosforemia, fino a livelli difficilmente raggiunti con la terapia elettrolitica suppletiva del paziente. Ancora una volta le attività di ricerca frutto della collaborazione Biogem-Vanvitelli, si pongono al fianco di pazienti certamente ‘rari’, ma da oggi, probabilmente, un po' meno soli’’.

 

È stato presentato il 20 aprile presso l’Università di Milano-Bicocca l’Hub delle Tecnologie avanzate per la Medicina. 

La collaborazione che coinvolge 23 enti, tra cui l'Ateneo Vanvitelli, e di cui è ente promotore l’Università Milano - Bicocca, porta il nome di ANTHEM (AdvaNced Technologies for HumancentrEd Medicine) e permetterà di realizzare dispositivi e strumenti digitali per la raccolta dati a supporto di soluzioni di medicina di prossimità, sviluppare strumenti di monitoraggio e valutazione dei fattori ambientali, di stile di vita e patologici nelle popolazioni fragili e croniche e implementare metodologie di terapia oncologica per quei tumori che non possono essere trattati con approcci convenzionali,.

Colmare, con l’ausilio di tecnologie e percorsi multidisciplinari e innovativi, il divario esistente nell’assistenza sanitaria dei pazienti fragili e cronici all’interno di specifici territori caratterizzati da patologie orfane di terapie specifiche. È questo l’obiettivo principale che il progetto si prefigge di raggiungere nei prossimi quattro anni grazie alla partnership con 9 università, enti di ricerca e di assistenza sanitaria pubblici e privati e a un investimento complessivo di oltre 123 milioni di euro, finanziato dal Piano complementare al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)

L’investimento andrà a finanziare attività di ricerca e di trasferimento tecnologico e di conoscenze, in ambito sanitario e assistenziale. In tutto verranno coinvolti, intorno a 28 progetti, oltre 200 ricercatori appartenenti a 10 tra Università ed Enti di ricerca, 8 tra Strutture sanitarie, sociosanitarie e di ricerca medica e 5 tra Imprese ed Enti privati. È previsto un reclutamento di 80 tra ricercatori e tecnologi e di 65 dottori di ricerca.

Le attività progettuali saranno coordinate, gestite e monitorate dalla Fondazione Anthem, con sede a Milano. ANTHEM opererà in profonda sinergia con l’ecosistema economico e industriale, le amministrazioni locali e la società civile in ambito di innovazione sanitaria e assistenziale sia a livello locale sia a livello nazionale. Gli ambiti di intervento del progetto sono quattro, ognuno coordinato da un ateneo: tecnologie e gestione di dati per la diagnostica e la cura (Università di Bergamo); ambienti smart e sensori innovativi per la medicina di prossimità (Università di Milano-Bicocca); ricerca di fattori di rischio e strumenti per il monitoraggio dei pazienti cronici (Politecnico di Milano); soluzioni terapeutiche innovative per patologie orfane (Università di Catania).

Il progetto agirà su contesti territoriali e sistemi sanitari specifici e rappresentativi della diversità del Paese in termini di organizzazione, tecnologia, densità di popolazione, presenza di ospedali e di strutture di prossimità, facilità di accesso, efficienza diagnostica e terapeutica, uso delle tecnologie digitali. Saranno coinvolte cinque regioni (Lombardia, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia), le comunità montane, come la Val Seriana e la Val Brembana in provincia di Bergamo, e le comunità metropolitane e distrettuali (Milano, Monza e Brianza, Napoli, Taranto, Bari, Lecce).

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Parkinson e arteterapia, alla Vanvitelli la Giornata nazionale Parkinson si trascorre al Museo Gallerie d’Italia – Napoli Fondazione IntesaSan Paolo e Civita Mostre e Musei, per un incontro divulgativo per pazienti e familiari, dove verranno analizzati e rivisti i risultati di laboratori di arteterapia che si sono svolti a cadenza mensile nel corso dell’anno presso il Museo in collaborazione con l’associazione con Parkinson Parthenope.

Questo perché “La letteratura scientifica sul tema negli ultimi anni dimostra che, accanto al protocollo tradizionale farmacologico e riabilitativo – spiega Alessandro Tessitore, docente in Neurologia alla Vanvitelli – esistono una serie di attività complementari ludico terapeutiche molto utili, come l’arteterapia effettuata dai nostri pazienti durante quest’anno,  che si rivelano particolarmente efficaci nel contrastare l’evoluzione dei sintomi della malattia e lo stigma che deriva dal ricevere la diagnosi di una patologia neurodegenerativa come quella del Parkinson, sicuramente invalidante”.

Mettere in connessione arte e pazienti è un ottimo modo per favorire il dialogo, migliorare la propria condizione psichica e la qualità della vita, anche se da ammalato.

Si potrà accedere ai laboratori presso Gallerie d’Italia, in via Toledo 177, Napoli sabato 25 novembre dalle 9.15

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IMG 2083Marco Romano, Primario della UOC di Epatogastroenterologia e Professore Ordinario di Malattie dell’Apparato Digerente dell'Ateneo Vanvitelli, è stato designato dalla Società Italiana di Gastroenterologia (SIGE) come coordinatore per la stesura delle linee guida sul trattamento dell’infezione da Helicobacter (H.) pylori in Italia.

Queste linee guida sono state stilate con il metodo GRADE dalla SIGE in collaborazione la Società Italiana di Endoscopia Digestiva (SIED) e sono state pubblicate sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità ed autorizzate all’uso in tutto il territorio italiano (Sistema Nazionale Linee Guida). L'infezione da H. pylori è particolarmente diffusa nella popolazione generale con una prevalenza variabile tra il 30 e il 50% .

L’ H. pylori è il principale agente eziologico di diverse patologie gastroduodenali, come la gastrite, la dispepsia, l'ulcera peptica, il linfoma gastrico MALT e l'adenocarcinoma dello stomaco ed inoltre è coinvolto nella patogenesi di diverse malattie extra-gastriche. È opportuno sottolineare come l’International Agency for Research on Cancer (IARC) abbia inserito l’H. pylori nel gruppo degli agenti carcinogeni di tipo 1 per il cancro dello stomaco e, pertanto, l’eradicazione dell’ H. pylori svolge un ruolo importante nella prevenzione primaria del cancro gastrico.

Vi è unanime consenso internazionale nel considerare la gastrite da H. pylori come una malattia infettiva, anche quando i pazienti non hanno sintomi ed indipendentemente dalla presenza di complicanze, come l’ulcera peptica ed il cancro gastrico. Pertanto, tutti i soggetti con infezione da H. pylori dovrebbero ricevere una terapia di eradicazione, a meno che non ci siano particolari controindicazioni. L'eradicazione dell'infezione è cruciale e sta diventando sempre più difficile da raggiungere a causa della aumentata resistenza dell’ H. pylori agli antibiotici comunemente utilizzati nella pratica clinica. Peraltro, una terapia guidata dall’ antibiogramma è scarsamente fattibile in Italia, così come nel resto del mondo, poiché i test di suscettibilità agli antibiotici condotti mediante coltura o test genetici su campioni bioptici di mucosa gastrica sono ancora scarsamente disponibili, onerosi, difficili da eseguire e necessitano dell’esecuzione della gastroscopia.

Pertanto, il trattamento dell’infezione da H. pylori nella pratica clinica è basato necessariamente su terapie prescritte empiricamente. E’ quindi molto importante adattare le raccomandazioni terapeutiche ai diversi tassi di resistenza locali agli antibiotici più comunemente utilizzati nell’eradicazione del batterio, in particolare claritromicina, metronidazolo e levofloxacina. La gestione terapeutica dei pazienti con infezione da H. pylori è in evoluzione per quanto concerne gli schemi terapeutici e la loro durata, proprio in funzione delle diverse prevalenze nazionali di ceppi batterici farmaco-resistenti. Da qui la necessità di linee guida italiane sul trattamento dell’ infezione da H. pylori.

Ad oggi non esistevano linee guida ministeriali sull’argomento e questa pubblicata con il coordinamento di Marco Romano è la prima in merito. La stesura del lavoro ha visto impegnati come membri della SIGE e della Vanvitelli Antonietta Gerarda Gravina, Ricercatore in Malattie dell’Apparato Digerente e Raffaele Pellegrino e Giovanna Palladino, medici in formazione specialistica in Malattie dell’Apparato Digerente.
Per la SIED hanno invece preso parte Rocco Maurizio Zagari, Professore Ordinario di Malattie dell’Apparato Digerente dell’ Università degli Studi di Bologna, Leonardo Henry Umberto Eusebi, Professore Associato di Malattie dell’Apparato Digerente, Università degli Studi di Bologna, Leonardo Frazzoni, Dirigente Medico, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Università degli Studi di Bologna e Elton Dajti, medico in formazione specialistica in Malattie dell’Apparato Digerente, Università degli Studi di Bologna.

Per maggiori informazioni: https://snlg.iss.it/wp-content/uploads/2023/01/LG-435-SIGE-Terapia-H-pylori.pdf

A cura del professor Giovambattista Capasso

Ordinario di nefrologia presso la Università Vanvitelli e Direttore Scientifico di Biogem, centro di ricerca in Biologia Molecolare e Genetica di Ariano Irpino.

Rene e cervello, quali connessioni? E' questo il tema della prima conferenza internazionale dal titolo Brain and kidney interaction, sul rapporto Rene - Cervello che si terrà a Napoli il 23 e 24 novembre.  Al convegno parteciperanno una folta schiera di eminenti studiosi appartenenti a diverse discipline mediche così come si addice quando si affronta un tema di punta del sapere medico.

I dati epidemiologici indicano un significativo aumento del numero di pazienti affetti da malattie renali croniche (MRC). Questa tendenza è evidente in tutte le fasce d'età, ma è particolarmente pronunciata tra gli anziani. La MRC è una condizione complessa e potenzialmente pericolosa per la vita che colpisce tutti gli organi, portando a alterazioni nei parametri fisiologici fondamentali, come il volume plasmatico, gli elettroliti, l'equilibrio acido-base, gli ormoni e il metabolismo proteico. Date le comorbilità associate, l'approccio terapeutico preferito prevede una strategia multidisciplinare che includa l'uso appropriato di farmaci e interventi adattati alle specifiche esigenze nutrizionali”.

Nel 30-60% dei casi di MRC avanzata, i pazienti presentano disturbi cognitivi. Queste persone spesso soffrono di vari sintomi che colpiscono sia il sistema nervoso centrale che quello periferico. Il deficit più osservato è la lieve compromissione cognitiva (MCI), caratterizzata da lesioni neurologiche e disfunzione cognitiva. È importante notare che l'MCI è già diffuso nelle fasi iniziali dell'insufficienza renale ed è significativamente più comune tra i pazienti affetti da MRC rispetto agli individui della stessa fascia d'età nella popolazione generale.

Nel campo attuale delle neuroscienze, ci sono numerose innovazioni che hanno notevolmente ampliato le nostre conoscenze, tra cui nuove tecnologie di imaging applicabili sia a modelli animali che umani. Inoltre, sono disponibili test cognitivi innovativi e gli approcci omici sono ampiamente utilizzati nella ricerca neuroscientifica.

Purtroppo, la collaborazione interdisciplinare mirata a comprendere la natura e l'origine dell'MCI-MRC è stata piuttosto limitata. Molte domande fondamentali su questa condizione sono rimaste senza risposta o, peggio ancora, sono state trascurate e non affrontate. La conseguenza grave di ciò è l'assenza di qualsiasi terapia patogenetica finora.

Pertanto, l'obiettivo primario di questa conferenza è riunire rinomati relatori internazionali provenienti da diversi campi per collaborare nel comprendere i meccanismi ed esplorare future opzioni terapeutiche per questa emergente entità clinica. Inoltre, c'è la speranza che una miglior comprensione dell'interazione tra il cervello e i reni possa migliorare la nostra comprensione di altre malattie neurologiche.

Programma

Vincono il titolo di miglior team italiano gli specializzandi di Pediatria dell’Ateneo Vanvitelli. La competizione si è tenuta a Padova nei giorni scorsi e ha visto la partecipazione di ben 35 scuole di pediatria provenienti da tutta Italia. Al termine di una serie di prove di simulazioni di rianimazione su manichini/neonati, hanno conquistato il primo posto i dottori della scuola di specializzazione dell’Università Vanvitelli, guidata da Silverio Perrotta.

La gara, la prima al mondo nel suo genere, era stata organizzata dal Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Azienda Ospedaliera di Padova.
Il team Vanvitelli era formato dai dottori Francesco Fasolino, Alberto Maria Colasante, Antonio Paride Passaro e dalla team leader Simona Puzone del reparto di Pediatria diretto da Emanuele Miraglia del Giudice.
Le 35 squadre erano state divise in sette giorni. Le migliori otto sono passate alla seconda fase che si è svolta ad eliminazione diretta, fino ad arrivare alla finale vinta dalla squadra Vanvitelli.

La gara si basava sui principali scenari di rianimazione neonatale, dall’asfissia alla cardiopatia, passando per le insufficienze respiratorie, fino alle sindromi da inalazione. Ogni team ha avuto a disposizione 10 minuti di tempo. Le simulazioni di salvataggio sono state effettuate su manichini, tecnologicamente avanzati, simili a bambini, tali da diventare cianotici ed emettere versi, così da far capire se le manovre che si facevano erano corrette o meno.

Le squadre sono state valutate da una giuria composta da 10 membri del Gruppo di Studio di Rianimazione Neonatale della Società Italiana di Neonatologia tra cui il professor Gary M. Weiner, neonatologo di Ann Arbor in Michigan, USA, membro della International Committee on Resuscitation's Neonatal Life support Task Force e autore dell'ultima edizione del Manuale di Rianimazione neonatale dell'American Academy of Pediatrics/American Heart Association usata in tutto il mondo.