Oncologhe, docenti, ricercatrici, dottoresse, farmaciste, data manager e infermiere. Tante donne, tante professioniste, che da un anno lavorano in trincea senza mai fermarsi. Nonostante il Covid, i figli a casa o i genitori anziani, nonostante la paura, la distanza dagli affetti.
Siamo nell’Oncologia Medica dell’Ateneo Vanvitelli, dove l’attività, in piena pandemia, è aumentata, e già dalla prima settimana di Marzo 2020: un incremento delle attività cliniche, del Day Hospital (20 per cento in più), della ricerca clinica con l’arruolamento attivo dei pazienti in protocolli clinici nell’ambito del progetto di ricerca finanziato dalla regione Campania I-Cure, della parte didattica con la riorganizzazione dell’attività telematica e, infine, con l’organizzazione e gestione del piano vaccinale, con i vaccini eseguiti su 5000 persone (personale universitario, ospedaliero, amministrativo e studenti).
Il 70 per cento dell’Oncologia Medica è composto da donne.
Erika Martinelli, Professore Associato di Oncologia Medica, responsabile dei tumori del colon-rettoepatocarcinoma e tumori delle vie biliari:
“Un silenzio spettrale per le vie di Napoli e dalla finestra del mio ufficio potevo apprezzare il rumore continuo delle ambulanze a sirene spiegate che interrompevano il silenzio. Troppi, tanti i disagi provati da marzo dello scorso anno a oggi. Da madre il distacco dai miei figli, per ben due mesi non li ho potuti abbracciare e toccare; la paura di contagiarli, a causa del mio lavoro di medico, era troppo forte. Come moglie di medico ho condiviso le paure, le speranze, le esperienze e spesso le opinioni scientifiche su come affrontare questa pandemia. Da professionista ho cercato di proteggere i miei pazienti fin dal primo giorno, percependo la loro estrema fragilità legata alla malattia oncologica e al fatto che il virus avrebbe potuto danneggiarli in misura maggiore rispetto alla popolazione generale. Da figlia …..ho vissuto un altro irreversibile distacco”
Teresa Troiani, Professore Associato di Oncologia Medica, responsabile dei tumori del colon-retto, melanoma e tumori della cute:
“L’immagine che è rimasta scolpita nella mia mente e nel mio cuore sono gli occhi dei miei tre figli che con grande sgomento mi fissavano ogni giorno che andavo a lavoro. La mattina erano occhi terrorizzati pieni di lacrime ed impauriti ….
Le difficolta sono state tante, ma soprattutto è stato complicato gestire le diverse situazioni cercando di non farsi sopraffare dall’ansia, dall’angoscia e da quell’aria funesta che aleggiava ovunque. La nostra vita è cambiata in un attimo proprio come cambia la vita di un paziente che riceve la diagnosi di cancro mi sono detta. Mi sono dovuta fermare per un istante e farmi ritornare alla mente i sentimenti e le motivazioni che mi hanno spinto a ricoprire tutti questi ruoli. L’amore che nutro per i miei figli e mio marito, la passione e la cura che hanno accompagnato la mia scelta lavorativa, medico e docente universitario, mi hanno dato la forza per alzarmi ogni mattina ed affrontare con equilibrio questi momenti drammatici”.
Floriana Morgillo, Professore Associato di Oncologia Medica, responsabile dei tumori toracici:
“Marzo 2020. Portavo la spesa ai miei genitori: lasciavo le buste giù alle scale e da lontano intravedevo mio padre, rimpicciolito, chino, spaurito, con una mascherina messa male e gli occhiali appannati che mi salutava alzando la mano. Nessuna parola.
Ho sempre gestito abbastanza bene i ruoli della mia vita, ho sempre pensato a prendermi prima cura dei miei cari e dei miei pazienti e poi di me. Ma l'idea di poter essere io stessa la causa di un male in quanto esposta al virus più di loro, e quindi potenziale veicolo di un loro danno, mi ha destabilizzato enormemente. In questo senso il vaccino ha rappresentato davvero una rassicurazione”.
Stefania Napolitano, Ricercatrice in Oncologia Medica:
“La paura di un futuro incerto, non programmabile, di una vita ferma mentre il tempo continua a scorrere invano. La nostalgia di spensieratezza, di incontri, di dialoghi, l’amarezza di programmi mai realizzati, di desideri non soddisfatti che possano compensare la responsabilità di figlia, di professionista le cui scelte influiscono sulla felicità degli altri”.
Carminia Della Corte Ricercatrice in Oncologia Medica:
“Inizi di marzo, un anno fa, la comparsa delle mascherine sui nostri volti, simbolo di paura e protezione per i pazienti, per i colleghi, per i propri cari e impegno e responsabilità per un futuro covid-free e con sorrisi visibili.
La più grande difficoltà è stata "tenere la distanza": rinunciare ad una stretta di mano o un abbraccio. Da lì, una nuova esperienza di comunicare forza e speranza "con gli occhi" con pazienti, colleghi, studenti, parenti, amici.
Giulia Martini, Ricercatrice in Oncologia Medica:
“Napoli all’improvviso si ferma, il suo silenzio è assordante. La lunga lontananza da mia madre che vive da sola. Le videochiamate e la paura nel suo sguardo e nelle sue parole, la sensazione di impotenza. Spero ancora di poterla abbracciare di nuovo senza paura. Come professionista, il fine ultimo di questi mesi di profondi cambiamenti organizzativi e strutturali è stato sempre poter garantire le cure ai nostri pazienti oncologici”.
Morena Fasano, dirigente medico in Oncologia Medica, responsabile dei tumori del distretto cervico-facciale e dei tumori cerebrali:
“L’immagine che mi ha maggiormente colpito in quest’ultimo anno trascorso è legata al primo giorno in cui sono iniziate le vaccinazioni anti COVID in Italia; ricordo l’emozione, il sentimento di speranza provato per il progresso umano e scientifico che quel gesto significava, per il simbolo di riconquista delle nostre vite e del nostro futuro che rappresentava e per la sensazione di rinascita avvertita, proprio come il fiore, la primula, divenuto simbolo della campagna vaccinale anti COVID.
La difficoltà più grande che ha accompagnato quest’ultimo anno è stata il conflitto interiore tra cuore e mente, tra l’istinto materno di abbracciare, baciare e stringere a me i miei figli al ritorno dal lavoro e il timore che, quei semplici gesti di amore, potessero rappresentare un pericolo per i miei bambini. Tutto questo associato all’impossibilità di poter abbracciare i miei genitori e di doverli tenere sempre ad una giusta distanza da me.
Il mio più grande disagio è dettato dalla sensazione di impotenza verso il virus ma anche verso le persone che non hanno o non vogliono avere la piena consapevolezza della gravità della situazione e dalla presa di coscienza che il comportamento inadeguato e superficiale di pochi compromette i sacrifici di molti, specie dei bambini, categoria molta penalizzata da questa pandemia”.
Maria Giovanna Ferrara, dirigente medico Ematologa:
“E’ la sensazione d’ impotenza che mi accompagna in questo ultimo anno quella che non potrò mai più dimenticare.
Nonostante la pandemia, grazie ad un’ottima organizzazione di reparto, la gestione clinica dei pazienti non ha subito cambiamenti, cercando di dare sempre il massimo, per quanto possibile. Ma i nostri pazienti sono fragili anche dal punto di vista emotivo, forse quello che più mi è mancato e mi manca è il “contatto “.
Questo periodo, che sembra non finire mai, mi ha fatto riscoprire il valore degli affetti e il piacere della quotidianità, che a volte diamo troppo per scontato”.
Lucia Esposito, data manager Oncologia Medica:
“Il momento più significativo dell’anno è stato l’arrivo dei vaccini in Italia, poiché l’ho vissuto come un momento di svolta di questa pandemia. La speranza che finalmente questo incubo chiamato Covid-19 possa terminare.
Un anno in cui la cosa più difficile resta quella di definire le mie priorità, che mi erano sempre sembrate chiare. Il peso della situazione ha reso il passare del tempo pesante; lo svolgimento di ogni singolo ruolo, oggi, richiede il doppio della forza psichica e fisica rispetto al passato”.
Maria Mirto, data manager Oncologia Medica:
“E’ dura non dare e non ricevere più semplici gesti d’affetto come un abbraccio. Può sembrare superfluo, ma davvero ad oggi quando incontriamo una persona non siamo più spontanei nei gesti, ciò che prima era naturale, oggi sembra strano e illogico.
Pensare al fatto che siamo stati lontani dai nostri affetti, immaginare malati che si sono ritrovati soli in ospedale senza il sostegno dei propri familiari, dover accettare e rassegnarsi all’idea di non poter dare un ultimo saluto ad un proprio caro e non essere presente all’inizio di una nuova vita come la nascita di un figlio, è ciò che mi ha maggiormente ferito.
La difficoltà più grande oggi resta abituarsi all’idea di non essere più liberi, liberi di pensare, agire, esprimersi senza costrizioni. Vorrei dunque non essere più in bilico tra libertà e restrizioni e tornare alla normalità.
Mi piace concludere con una citazione che racchiude il periodo storico che stiamo vivendo:
“La libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale, quando comincia a mancare”.
Piero Calamandrei
Francesca Marrone, Dirigente Farmacista Oncologia Medica:
“Moglie, madre, figlia, professionista. Ho sempre vissuto ognuno di questi ruoli come unico e di uguale valenza, irrinunciabile e meraviglioso al contempo. Di certo quest’ultimo anno è stato innegabilmente più duro per la pandemia, che ha reso tutto più complicato nella vita familiare sociale e lavorativa. Penso alle scuole improvvisamente chiuse, allo sport negato, alla mole di lavoro decuplicata. Ma quanta alternanza di sentimenti forti! La gara di sci di mia figlia, quella di canoa di mio figlio e poi i momenti sconfortanti legati ai malati oncologici seguiti con tanto amore alcuni dei quali ahimè non ce l’hanno fatta.
Ma certo è che ognuna di queste esperienze è valsa la pena di viverla nella sua pienezza e sono sicura costituiranno per me un bagaglio prezioso formativo e indelebile”.
Tina Tuccillo, Responsabile Laboratorio di Ricerca del Dipartimento e della gestione del laboratorio dei vaccini, Oncologia Medica:
“I mezzi militari a Bergamo (marzo 2020) che trasportavano le bare in altri cimiteri italiani per cremare i morti: un’immagine simbolo della pandemia da Covid-19.
Una pandemia che ha cambiato in tanti modi le nostre vite. Una delle categorie più penalizzate dalla pandemia è stata proprio quella delle donne che hanno avuto maggiori problemi sul lavoro, si sono spesso fatte carico di compiti aggiuntivi durante il lockdown e la chiusura delle scuole sostituendosi in tanti casi agli insegnanti, o facendosi carico di parenti bisognosi di cura. La difficoltà più grande è stata quella di rinunciare ad una vita “normale” (anche se la normalità è relativa), a nessuno piace stare rinchiusi in casa, non avere una vita sociale e poter fare solamente le solite attività. Tuttavia noi donne abbiamo una migliore attitudine ad offrire le risposte giuste alla crisi, le più corrette in termini di comportamenti e di capacità di risoluzione delle difficoltà continuando ad offrire uno sguardo positivo e di speranza”.
Francesca Fiore, psiconcologa:
“Ricordo con chiarezza l'ultimo giorno di lavoro in presenza: tempi, luoghi, colori dell'atmosfera che ci circondavano associati allo sgomento dei volti di noi tutti in reparto.
Il dover giocare diversi ruoli è qualcosa che da sempre mi rappresenta in quanto donna e che si colloca anche alla base della scelta motivazionale del tipo di professione svolta. Più che la poliedricità, è l'aver dovuto svolgere "in parallelo" quello che era un modus operandi e vivendi "in serie" sullo sfondo di un contenitore temporale che, se da un lato poteva essere sentito come dilatato (basti pensare all'essere costretti a restare per molto tempo a casa), veniva vissuto come contratto a causa della pressione percepita e rappresentata dal "dover" rispondere alla richiesta di aiuto URGENTE della nostra utenza o dei nostri cari per lenire l'angoscia”.
Carmela Acquisto, caposala Oncologia Medica:
“Che malinconia il ricordo dei primi giorni di lock-down con le strade deserte per recarsi sul luogo di lavoro.
La difficoltò più grande che vivo è quella di figlia che riesce a malapena a far capire a due genitori anziani il tempo strano che stiamo vivendo, fatto di mascherine, temperature e file estenuanti. Come moglie e madre mancano le riunioni con gli amici di sempre, le passeggiate per le strade della città, la solita pizza o il solito teatro, spesso abitudinari ma che ora mi mancano come l’aria”.