Negare l'olocausto, un caso di fake history

Uno dei più clamorosi esempi di Fake History è la teoria che nega il genocidio degli Ebrei, definita negazionismo della Shoah: questa corrente di “pensiero” contesta la veridicità storica dell’Olocausto attuato dalla Germania nazista.

Campi di concentramento e sterminio degli ebrei: qual è la posizione dei negazionisti?
Secondo le tesi sostenute da personaggi a dir poco discutibili, di ultradestra come l’americano Mark Weber, l’inglese David Irving, il francese Robert Faurisson e gli italiani Piero Sella e Carlo Mattogno, ma anche di ultrasinistra, come il francese Pierre Guillaume e gli italiani Claudio Moffa e Cesare Saletta, il Terzo Reich non elaborò né tanto meno attuò alcun programma di eliminazione della razza israelita in Europa; i campi di concentramento organizzati dai nazisti per rinchiudervi gli ebrei erano campi di lavoro e non di sterminio e, infine, il totale degli ebrei che vi persero la vita è ben lontano dai 5-6 milioni indicati dalla storiografia e, per giunta, solo alcuni di loro furono uccisi nelle camere a gas (ammesso che siano realmente esistite, come è giunto a sostenere Faurisson) mentre la gran parte morì di stenti e di malattie, quindi per “cause naturali”.
L’Olocausto, dunque, non sarebbe altro che una gigantesca finzione, costruita ad arte dai circoli ebraici mondiali per demonizzare la Germania e per fornire una giustificazione morale alla creazione dello Stato d’Israele e alle scelte politiche da questo di volta in volta sostenute.

I sostenitori della tesi negazionista sono storici?
Questi personaggi pretendono di essere riconosciuti come storici “revisionisti”, ma non hanno alcun titolo per meritare questa definizione. La ricerca storica è per definizione “revisionista”, perché punta sempre a verificare tesi anche consolidate, a porre nuove domande, a guardare ai fenomeni storici o anche ai singoli avvenimenti da nuove angolazioni e con nuove tecniche e nuovi strumenti di indagine. I negazionisti seguono invece posizioni antistoriche e antiscientifiche, esprimono posizioni di scetticismo assoluto verso le prove del genocidio fornite dai veri storici e dagli esperti, bollandole sbrigativamente come menzogne costruite dai vertici della comunità ebraica mondiale e dai soliti, imprecisati “poteri forti”, senza curarsi di fornire, a loro volta, uno straccio di prova di carattere scientifico a sostegno delle loro tesi.
Quali sono le basi documentali del negazionismo?
E’ certo vero che finora non sono stati trovati precisi ordini scritti di Hitler sul genocidio degli ebrei ma esiste un’amplissima documentazione sui progetti e sulle misure prese dai vertici nazisti per la “soluzione finale della questione ebraica, come, per fare un solo esempio, il verbale redatto da Adolf Eichmann (su istruzioni di Reinhard Heydrich) della riunione di alti ufficiali e dirigenti dei principali ministeri tedeschi tenuta a Wansee il 20 gennaio 1942.
Allo stesso modo, è vero che la gran parte dei lager nazisti erano “campi di lavoro” , come Auschwitz, Buchenwald-Birkenau, Dachau e Mathausen, e non di sterminio, come Sobibor e Treblinka, ma vi morirono ugualmente milioni di ebrei (più di un milione nel solo campo di Auschwitz). E’, infine, vero che una buona parte delle morti degli ebrei internati fu provocata da “cause naturali” come le malattie (scabbia, tifo esantematico, difterite, dissenteria) e gli stenti sostenuti (in primo luogo la denutrizione). Ma la diffusione e le conseguenze letali delle malattie e degli stenti erano conseguenza delle terribili condizioni di vita dei deportati, impiegati dai nazisti come manodopera coatta, costretta a sostenere lavori sfiancanti con ritmi massacranti, con scarsissimo cibo, fino allo sfinimento e alla morte per denutrizione. Va, anzi ricordato, che il tentativo di provocare la morte degli ebrei per inedia era una pratica seguita sin dall’inizio della guerra dai nazisti, come confermano le terribili immagini girate dagli stessi cineoperatori tedeschi nel ghetto di Varsavia nel 1940, nel 1941, nel 1942 e, infine nei primi mesi del 1943 (prima della disperata rivolta dell’aprile-maggio di quell’anno), che mostrano abitanti sempre più magri, fino a ridursi a scheletri viventi, che vagavano per strade dove non si raccoglievano più i cadaveri dei morti per fame, resi indifferenti a tutto, anche al pianto disperato di una madre che si aggirava per le strade stringendo tra le braccia il cadaverino del suo figlio.
Tra l’altro, anche a non voler tener conto dell’imponente mole di documenti e di testimonianze disponibili sull’argomento, un’inoppugnabile conferma della veridicità storica della Shoah è fornita dai filmati girati da russi, americani e inglesi nei campi di concentramento appena liberati. Gli americani, ad esempio, quando nell’aprile 1945 liberarono il campo di Buchenwald, non solo documentarono le fosse comuni piene di morti, le cataste di cadaveri ancora insepolti e le condizioni dei superstiti ridotti a scheletri viventi, ma costrinsero gli abitanti della vicina Weimar a sfilare per il campo, con il loro borgomastro in testa e badarono bene a riprenderli uno per uno, perché così nessuno potesse negare in futuro quello che avevano visto con i loro stessi occhi, e analoghe iniziative furono prese anche dagli inglesi, come nel filmato girato nel campo di Bergen Belsen, montato secondo i suggerimenti dello stesso Alfred Hitchcock.

C’è stata una propaganda negazionista?
Dal momento che i negazionisti rifiutano di riconoscere anche l’evidenza, si può dire che non rappresentano affatto la legittima richiesta di un libero confronto storico anche su un tema tragico come la Shoah ma che, piuttosto, costituiscono una delle più evidenti espressioni della tendenza a seguire ciecamente ottusi schemi ideologici e a mantenere comportamenti devianti. Lo conferma l’aggressiva e ipocrita propaganda condotta su internet da tanti gruppi filonazisti, che, da un lato, sfruttano il fascino macabro della violenza senza limiti operata dai nazisti per attirare nuovi adepti - allo stesso modo con cui i propagandisti del sedicente Stato Islamico utilizzano l’orrore dei filmati dei fanatici tagliagole dell’ISIS che uccidono ostaggi o prigionieri inermi per arruolare nuove reclute -, e, dall’altro, cercano di negare che quella violenza sia stata realmente esercitata sugli ebrei europei.

Negazionismo, un reato da perseguire?
Se le cose stanno così, serve considerare il negazionismo un reato da perseguire, come è stato fatto in diversi paesi europei, a cominciare dalla stessa Germania, e come è stato proposto più volte anche in Italia?
In realtà l’applicazione di queste misure potrebbe offrire ai negazionisti l’opportunità di atteggiarsi a difensori della libertà d’espressione e a martiri. Credo inoltre che sia pienamente condivisibile la contrarietà espressa dalla gran parte dei più autorevoli storici contemporaneisti italiani verso misure di carattere coercitivo perché la verità storica non può essere affidata agli Stati e perché solo la società civile, attraverso una costante battaglia culturale, etica e politica, può creare gli anticorpi necessari per contrastare e vincere le posizioni negazioniste.

Per non dimenticare
Perché non si ripeta mai più un’immane tragedia come la Shoah servono dunque la memoria, la conoscenza e un costante impegno di tutti nel seguire la strada della ragione. Occorre perciò anche abbandonare il mito consolatorio del “cattivo tedesco”, ricordando che anche austriaci, ungheresi, ucraini, estoni, lituani, francesi furono complici, in varia misura, del genocidio degli ebrei, e che lo fummo anche noi italiani, per aver accettato passivamente le leggi antisemite emanate dal regime fascista e per essere entrati in guerra al fianco della Germania nazista.
Se il sonno della ragione genera mostri, il razzismo e il fanatismo si combattono sforzandosi sempre di capire le ragioni degli altri, respingendo le incitazioni all’odio verso il “diverso”, ed anche, semplicemente, non prendendo per buone le soluzioni semplicistiche e miracolistiche ai problemi complessi della nostra società proposte da tanti arruffapopolo e verso le tante bufale più o meno pericolose e capziose che circolano su internet.