Dottore di ricerca, un titolo che conta ancora

Ho appena scoperto che la Campania è considerata una regione in «Ritardo di sviluppo». Colpa mia, non mi tengo informato. Anche se in buona compagnia, guarda caso tutte le regioni del Sud soffrono di questo ritardo, la cosa non mi fa piacere. Ho anche realizzato che per sviluppo va inteso quello industriale, quando il Ministero dell'Università e della Ricerca (noto come Miur) ha pubblicato il bando che assegna alle regioni zoppicanti investimenti e risorse economiche per favorire lo sviluppo di nuove competenze professionali richieste dal mercato del lavoro. L'Università, come legittima e più elevata emanazione del Miur, diventa uno dei motori dell'auspicato riposizionamento competitivo delle regioni più svantaggiate; il dottorato di ricerca universitario è lo strumento ritenuto idoneo per tale scopo.

Quando nel 1980 il dottorato fu introdotto nel sistema universitario italiano, rappresentava il massimo grado di istruzione universitaria. Il nome suonava bene: dottore di filosofia per dirla alla moda anglosassone (Philosophiae Doctor, o più semplicemente Ph.D.). Ancora oggi essere dottori di ricerca significa aver raggiunto il terzo livello di studi, un titolo che stando alla originale definizione della legge, poteva essere valutato soltanto in ambito della ricerca scientifica, o come percorso di formazione alla carriera accademica. Mi faccio dei conti grossolani: ogni anno circa 12.000 laureati nelle varie discipline accedono ai percorsi di dottorato in tutti gli atenei italiani, un numero molto più grande di quello che il mondo accademico, dentro e fuori l'Università, è in grado di accogliere e collocare degnamente. La sola Università della Sapienza a Roma accoglie ogni anno 823 nuovi dottorati. Non è un caso che il Rettore della Vanvitelli, Prof. Giuseppe Paolisso, abbia voluto fortemente incentivare la numerosità e la innovatività dei corsi di dottorati che afferiscono all'Ateneo Vanvitelli. Statistiche alla mano, circa 2.000 dottori di ricerca (appena il 17% della carica iniziale) riuscirà realmente a trovare una sistemazione in ambito universitario. Ed il restante 83%? Gli altri stati europei hanno affrontato da tempo un'analoga situazione, individuando un sistema vincente , basato sulla cooperazione Università ed imprese. In pratica, i dottorati devono essere centri di innovazione e trasferimento tecnologico. Come al solito le frasi più belle sono quelle coniate da altri, specialmente se in inglese. Ecco il «Learning by doing» letteralmente «imparare facendo» che poi a ben guardare resta ancora il cruccio dei nostri sistemi universitari, poca pratica rispetto al cumulo di teoria che si accumula ogni anno in modo esponenziale. Gli aggettivi usati per definire questi dottorati innovativi sono tre: internazionale, industriale, interdisciplinare, e rispondono alle esigenze di collaborazione con altre istituzioni al di fuori dell'Italia e di integrazione con settori esterni all'accademia. Non è un caso se l'Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), scrive così: «Le aziende sono attratte dai Paesi che fanno di questo livello di formazione e ricerca una opportunità accessibile».

Già oggi ottenere un titolo di Ph.D. può aiutare: dati alla mano (ISTAT 2015), il 91,5% del totale lavora dopo 4 anni dall'ottenimento del titolo di dottore di ricerca, anche se un 30-40% già lavorava prima di iniziare il corso di studi. Nonostante alcune difficoltà residue, legate alle differenti procedure amministrative tra pubblico e privato, e tra Italia ed altri paesi del mondo, il processo sembra avviato e difficilmente potrà essere invertito. Il PhDay Un giorno per il dottorato alla Vanvitelli rappresenta una ghiotta occasione per un confronto di idee tra i dottorandi che afferiscono alla Scuola di Dottorato in Scienze della Vita. Lo scopo principale è mostrare, nella maniera più informale e semplice, come dietro alla ricerca dei giovani vi siano soprattutto passione, curiosità, voglia di fare e speranza per il futuro. L'appuntamento è per giovedì 31 gennaio, presso la sede dell'Ateneo Vanvitelliano in Via Costantinopoli 104, dalle 8,3o.

Dario Giugliano, Direttore della Scuola di Dottorato in Scienze della Vita Università della Campania Vanvitelli