Il lavoro agile in tempi di emergenza epidemiologica

a cura di Carmen Di Carluccio - Ricercatore di Diritto del Lavoro - Dipartimento di Giurisprudenza - Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”

 

Nell’ambito delle misure di contrasto e di contenimento dell’emergenza epidemiologica determinata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2, causa della coronavirus disease 2019  (malattia nota con l’acronimo covid-19), il Governo ha riservato uno spazio privilegiato al lavoro agile che costituisce una «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato», nel cui ambito la prestazione, affrancata da «precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro», viene eseguita «in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno», «senza una postazione fissa», «entro i soli limiti della durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva».

L’istituto, che nasce con la finalità di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, assume la nuova inedita funzione di strumento di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori e, prima ancora, di tutela della salute pubblica.

L’Esecutivo – attraverso i numerosi provvedimenti che si sono via via succeduti, a partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio 2020 – ha ridefinito i contorni del lavoro agile, prevedendo la possibilità di derogare alla prescrizione che richiede la sottoscrizione da parte del lavoratore e del datore di un accordo individuale sui contenuti e sull’organizzazione dell’attività da svolgere in formula agile, nonché una semplificazione con riguardo al vincolo in materia di informativa sui rischi, generali e specifici, connessi alla peculiare modalità di svolgimento della prestazione.

Il lavoro agile in tempi di pieno allarme sanitario diviene home working: il non-luogo di lavoro, che connota tipicamente il lavoro agile, non può più essere liberamente scelto dal lavoratore, dovendo forzatamente coincidere (salvo situazioni eccezionali) con l’abitazione di residenza e/o di domicilio del lavoratore, luogo necessitato da ragioni di salvaguardia della salute pubblica. Le misure di contenimento via via indicate dalla pubblica autorità delimitano, infatti, il perimetro degli spostamenti delle persone fisiche e, quindi, anche dei prestatori di lavoro sul territorio nazionale: la prestazione – sempre che sia riconducibile ad attività non sospese – è confinata all’interno dei locali aziendali, con l’assunzione di protocolli di sicurezza anti-contagio (in tal caso lo spostamento si giustifica per «comprovate esigenze lavorative»), oppure, e anche solo in parte, all’esterno degli stessi, presso l’abitazione del lavoratore o in altro luogo da lui individuato che risponda ad un bisogno reale, cosicché lo spostamento sia motivato per «situazioni di necessità» o cause «di salute» (si pensi, ad esempio, al bisogno di assistere un anziano familiare non convivente).

La rimodulazione dell’istituto è avvenuta, peraltro, attraverso modalità diverse per l’area del lavoro pubblico, nel cui ambito si prescrive che venga assicurato lo svolgimento in via ordinaria delle prestazioni lavorative in forma agile, con l’individuazione da parte delle PA delle attività non procrastinabili da rendere obbligatoriamente sul luogo di lavoro. In tal modo si configura come eccezione il lavoro in presenza (ammesso esclusivamente per le attività «indifferibili e che richiedono necessariamente la presenza sul luogo di lavoro anche in ragione della gestione dell’emergenza») e come regola l’attività svolta in modalità home, con una forte limitazione del potere gestionale datoriale.

Diversamente si dispone per l’area del lavoro privato, nel cui ambito «si raccomanda» il «massimo utilizzo» del lavoro in forma agile per tutte le attività «che possono essere svolte» con questa modalità (solo per i genitori lavoratori dipendenti che hanno almeno un figlio minore di anni 14 - se nel nucleo familiare non vi sia altro  genitore  beneficiario  di  strumenti  di sostegno al  reddito in   caso   di   sospensione  o  cessazione dell’attività lavorativa o non vi sia genitore  non  lavoratore - si configura un diritto a svolgere la prestazione in modalità agile «a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione»). In tal caso si demanda all’imprenditore la valutazione – discrezionale – relativa alla verifica della sussistenza delle condizioni (strutturali, organizzative, strumentali, tecnologiche, ecc.) di impiego dello strumento; una valutazione che non può prescindere dalle ulteriori prescrizioni rivolte alle organizzazioni produttive per evitare che le stesse possano trasformarsi in un veicolo di diffusione del nuovo coronavirus. Ci si riferisce, in particolare, all’invito a incentivare ferie e congedi retribuiti, assumere protocolli anti-contagio per i lavoratori in presenza, adottare DPI, porre in essere operazioni di sanificazione degli ambienti di lavoro, limitare al massimo gli spostamenti all’interno dei siti e contingentare l’accesso agli spazi comuni, con un auspicato contributo delle parti sociali.

L’emergenza sanitaria ha aperto i riflettori su uno strumento poco utilizzato dalle imprese, soprattutto quelle situate in certe aree geografiche del Paese e, ancor di più, dalla PA, sollecitando (imponendo, nel caso delle PA) un cambiamento forzato, improvviso e a tappeto delle modalità ordinarie di organizzazione del lavoro e di gestione del personale.

Occorrerà verificare ex post se quest’intervento si tradurrà in una innovazione tangibile dei processi organizzativi e se i soggetti coinvolti riusciranno a sperimentare – alle condizioni necessitate dallo stato di emergenza epidemiologica – i benefici dell’istituto, scegliendo di farne uso anche al termine di questa congiuntura critica.

Molto dipenderà dalla capacità del mondo datoriale – in specie di quello pubblico –  di sostenere il cambiamento che si è innescato attraverso azioni su processi-strumenti e sul personale.

Nella prima direzione appaiono utili alcune recentissime previsioni che semplificano le procedure per l’acquisto di servizi informatici da parte delle PA e istituiscono un fondo per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione. Misure valide, queste, che non possono essere disgiunte da una riorganizzazione del lavoro che offra la possibilità al personale di sperimentare abilità e competenze nuove (non unicamente tecniche e specialistiche, ma anche di natura trasversale: apertura al cambiamento, problem solving, capacità di lavorare in gruppo, pensiero creativo, intelligenza emotiva, ecc.), senza trascurare la dimensione sociale e umana del lavoro. Quest’ultima rischia di essere fortemente messa in crisi da un home working che il lavoratore non ha scelto, ma subisce e sperimenta in una situazione emergenziale, che esige di riprogrammare routine di vita e di lavoro, gestendo, per un verso, l’isolamento forzato e la difficoltà di razionalizzare le inevitabili paure e il senso di smarrimento che accompagnano questi processi, dall’altro, le sfide imposte dalla ricerca di equilibri nuovi negli impegni di cura e di assistenza alla famiglia (e, in particolare, ai figli minori), resi più gravosi e talora totalizzanti, a fronte della sospensione dei servizi educativi per l’infanzia, delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, e, più in generale, dei servizi di sostegno della genitorialità.