Pochi fondi e stipendi bassi, ecco perché i cervelli scappano

di Giuseppe Paolisso, Rettore della Seconda Università degli studi di Napoli

Le recenti affermazioni del Presidente Cantone del legame tra «corruzione e fuga dei cervelli» all'Università impongono una serie di riflessioni su alcuni aspetti del sistema universitario italiano che possono essere alla base della fuga dei cervelli.

Il meccanismo di reclutamento con cui opera il sistema universitario è sicuramente un aspetto delicato su cui riflettere. Che l'affermazione del presidente Cantone ha una base concreta e reale e fuori discussione anche se va forse intrepretata in maniera meno giuridica ed un poco più procedurale il termine corruzione. In effetti, il sistema universitario parte dal convincimento che la cooptazione è il «primum movens» per la valutazione di un qualsiasi reclutamento. Cioè il conoscere prima le qualità e le attitudini di chi si va a reclutare, si considera possa produrre più vantaggi che svantaggi per l'università che ha deciso di avvalersi di una di determinata tipologia di figura professionale. Tutto questo non avrebbe nessun impatto giuridico se il sistema universitario utilizzasse un metodo trasparente come quello degli Usa o di altre sistemi europei ed extraeuropei in cui le università scelgono chiaramente tra un rosa di candidati pre-individuati, chi è il piu idoneo a ricoprire quel determinato ruolo utilizzando anche come referenze lettere di raccomandazioni che in effetti sono presentazioni con assunzione di responsabilità da parte di chi sottoscrive la presentazione.

Il sistema italiano invece prevede un concorso pubblico in cui spesso si scontrano la volontà di cooptazione dell'università, la qualità dei partecipanti, i ruoli di organismi extrauniversitari come i vari Collegi delle diversi discipline i cui i docenti universitari sono suddivisi. Il mix che ne deriva non è sempre privo di problemi e da ciò nasce quello che il presidente Cantone chiama con termine tecnico corruzione.

Non si tratta quindi di corruzione finalizzata ad un indebito arricchimento o ad altri reati ma di una cattiva gestione di un processo amministrativo stabilito per legge che è il concorso universitario. Questo ovviamente ed indubbiamente scoraggia il rientro e favorisce la fuga dei cervelli. Ma questo è il solo motivo?
Io non credo. Esistono, secondo me, altre due forti considerazioni che vanno fatte, altrimenti basterebbe modificare le leggi e tutto sarebbe risolto. Un punto forte alla base della fuga dei cervelli è sicuramente anche il sottofinanziamento salariale, soprattutto dei ruoli di Ricercatore.

Uno studente universitario che vuole intraprendere la carriera universitaria dopo la laurea spesso si iscrive ad un dottorato di ricerca della durata di 3 o 4 anni durante il quale non infrequentemente trascorre un periodo all'estero, poi torna in Italia ed attende la possibilità di partecipare ad un concorso di Ricercatore mantenendosi attraverso gli assegni di ricerca spesso sottopagati e estremante precari perché devono essere rinnovati annualmente su fondi non sempre disponibili. Quando infine dopo lunghe tribolazioni personali e lavorative riesce a occupare una posizione di Ricercatore (che oggi in Italia è a tempo determinato essendo il ruolo di professore Associato il primo nella scala gerarchica accademica a tempo indeterminato) guadagna tra i 1200 e 1700 euro al mese in relazione alla sua scelta di optare per il tempo pieno o definito. Ma i cervelli non sono un patrimonio dell'Italia ma del mondo ed la ricerca come tante altre cose ha un mercato globale. Quindi dobbiamo confrontarci con il resto del mondo. Gli Usa in assoluto sono la meta economicamente più vantaggiosa per un ricercatore: il potere d'acquisto di uno stipendio annuo lordo americano supera di qualcosa come 22 mila euro quello medio europeo (considerando sia il settore pubblico sia il privato). E il vantaggio per chi sceglie Australia e Giappone è di poco inferiore (e sempre maggiore di 20 mila euro). Non solo: pure l'India paga gli scienziati un buon 10% in più dell'Ue dei 25, in rapporto al costo della vita. Quindi se è vero che il sistema italiano non sembra selezionare sempre i migliori è pur vero che i migliori non sono incentivati a restare in Italia.

Un ultimo punto che mi sembra importante rilevare riguarda il sottofinanziamento della ricerca. Nel quadrienno 2011-2014 i fondi dedicati in Italia alla ricerca e sviluppo sono stati il 127% del Pil contro il 2.23% dei paesi Ocse ed il 1.92% della UE a 28. I privati hanno negli ultimi hanno leggermente incrementato il loro investimento attestandosi in circa lo miliardi di euro annui ma siamo bel al disotto della media UE a 28 ma soprattutto di Gran Bretagna, Francia e Germania le locomotive dell'economia europea, Brexit a parte. Come si vede siano ben al di sotto di quanto un paese che vuole svilupparsi dovrebbe investire. E' questa una situazione che favorisce la fuga dei cervelli o no? Io penso proprio di si. Se questa in estrema sintesi e in larga approssimazione la situazione ben vengano le affermazione del presidente Cantone che sono un monito al mondo universitario italiano e servono ad una presa di coscienza sullo stato dei fatti, ma la fuga dei cervelli, è un malattia italiana multifattoriale che come sempre accade in medicina ha bisogno di un approccio multidisciplinare.