di Abdulaye Konaté, Graphic designer at the Musee National in Bamako - Painter - Installation Artist - Sculptor
Dirè è una piccola città sulla riva sinistra del fiume Niger nella regione del Tombouctou del Mali. A nord del Mali c’è il deserto che avanza: una linea rossa che si sposta continuamente e che, nel suo avanzare, copre villaggi e territori. Inaridisce i terreni, degrada i suoli, costringe intere popolazioni ad abbandonare le proprie case, le proprie terre e a spostarsi continuamente.
Questa linea rossa – il Sahel – significa “bordo del deserto” ed è una zona di confine dell’Africa sub-sahariana che attraversa le regioni del Gambia, del Senegal, la parte a Sud della Mauritania, dell’Algeria e del Niger, il centro del Mali, il Burkina Faso e il nord della Nigeria, del Camerun, del Sud Sudan e dell’Eritrea, oltre alla parte centrale del Ciad.
Nel 1972 il Sahel è stato colpito da una grave siccità che, con l’aggravarsi dell’inaridimento climatico globale degli ultimi decenni, ha provocato oltre alla distruzione del patrimonio zootecnico locale, anche un ingente fenomeno di migrazione delle popolazioni saheliane verso sud con il conseguente abbandono di quelle terre da un lato, e, dall’altro con un eccessivo processo di inurbamento nelle zone di arrivo. Un fenomeno questo, che vede terre che diventano sempre più aride contrapporsi a terre che diventano sempre più affollate e dense. Questo fenomeno di concentrazione da un lato e di rarefazione dall’altro, può essere preso come strumento visivo di rappresentazione di fenomeni attuali e globali che oggi velocemente si verificano sotto i nostri occhi: la rarefazione e la sparizione delle culture della coltivazione e della pace proprie di queste terre in contrapposizione alla concentrazione dei conflitti, degli estremismi, delle epidemie, delle politiche dello sfruttamento e delle ideologie aggressive che invadono le zone a più alta concentrazione urbana. È come se non esistesse più una progressione tra i fenomeni ma invece una contrapposizione diametrale tra il troppo e il troppo poco.
Il Sahel quindi, non è solo un territorio, piuttosto è simbolo di un processo di desertificazione che avanza che non è solo ambientale ma è anche e soprattutto culturale, politico, religioso.
Una terra che ha visto l’incremento dell’emergenza terroristica di matrice islamista radicale (salafita) soprattutto nell’area nord occidentale e che di fatto, ha portato alla secessione del Nord del Mali, al colpo di stato del 2012 e agli ultimi attacchi terroristici e attentati locali.
Una terra ricca di tradizioni, di cultura, di artigianato locale e di risorse naturali e che diventa oggi uno dei simboli di un fenomeno globale di impoverimento economico e ambientale.
Partendo da Dirè, mia città natale, e dalla terra maliana che ha fatto dell’alto artigianato tessile la manifestazione concreta della propria cultura materiale, della musica la propria voce per parlare con il mondo e dell’arte il proprio punto di forza per rendere manifeste le proprie difficoltà, ho fatto della mia ricerca sull’artigianato locale e sulla grandissima tradizione della cultura tessile, il grimaldello per dialogare con il mondo e lo strumento per toccare grandi temi di rilevanza globale: la desertificazione ambientale, l’emigrazione, l’ideologia religiosa, gli estremismi, i conflitti militari, le sovranità, gli effetti della globalizzazione, i cambiamenti ecologici e le grandi epidemie. Tutti argomenti che diventano, nelle trame delle opere, oggetto di indagine e di decostruzione semiotica.
Un progetto ricco nei materiali - quei tessuti economicamente poveri ma dall’aspetto cangiante e prezioso – che si rifà alla tradizione dell’Africa occidentale e ad un uso commemorativo dei materiali, che si contrappone a messaggi secchi e decisi, elaborati all’interno di una esperienza personale cosmopolita e transculturale.
È partendo da questi temi che le Conservatoire des Art et Métiers Multimédia Balla Fasseké Kouyate di Bamako, la Sustainable Design School di Nizza e la Sun Seconda Università degli Studi di Napoli, nello specifico il Dipartimento di Ingegneria Civile, Design, Edilizia, Ambiente hanno sottoscritto un protocollo di intesa per poter lavorare a progetti comuni che abbiano come argomento centrale i temi della sostenibilità, non solo ambientale.
Il primo argomento di ricerca vede quindi il concetto della “Desertificazione” come metafora attraverso la quale studiare ed analizzare fenomeni più ampi e di portata globale.
I cambiamenti climatici accompagnati dai fattori legati all'accelerazione dello sviluppo economico, alle migrazioni umane e l'abbandono dei territori sta facendo assumere, al termine “desertificazione” significati metaforici e sembra agire senza distinzione nei paesi del primo mondo, secondo o terzo mondo: sostenuta e implementata da bad practice e culture invasive - dagli incendi al sovra-popolamento, dall'inquinamento all’agricoltura intensiva – la desertificazione stende i propri effetti e fa avanzare i deserti provocando siccità estrema in Australia, seccando parte della California, facendo estendere il deserto del Nevada, minando le riserve idriche, aumentando la salinità dei terreni, favorendo l’erosione, la perdita di massa organica e la perdita di capacità di assorbimento d'acqua da parte del terreno. Perdita di massa vegetale e capacità di schermatura dei raggi solari, innalzamento delle temperature che come un effetto domino, scaldano ulteriormente il terreno e con ulteriore evaporazione dell'acqua ne aumentano la salinità.
L'eco di questo fenomeno subdolo e a lento effetto arriva in seconda battuta, su un terreno, fisico, culturale e psicologico già stanco, e logora la capacità di reazione di interi popoli, tagliandone le connessioni con i propri territori, e ponendoli in una condizione di perenne migrazione.
Questo scenario ambientale si offre, in maniera critica, come una lente di ingrandimento in grado di accendere una spia sul fenomeno della desertificazione inteso quale metafora per altre letture più trasversali e complesse. Diventa allora interessante la costruzione della relazione tra studenti provenienti da culture diverse, quella occidentale e quella sub-sahariana, per capire come i differenti significati del termine desertificazione, a volte anche apparentemente molto sconnessi tra loro, possono invece trovare delle risposte concrete attraverso i percorsi dell’arte, del design, delle scienze e della reciproca fertilizzazione.
Desertificazione naturale, desertificazione economica e desertificazione culturale saranno i tre cardini attorno ai quali verrà costruito l’intero percorso progettuale convinti che la naturale attitudine “etica” del design si può porre come interlocutore primo per affrontare i limiti dello sviluppo, le sue discrasie, e i suoi risvolti più estremi ed aprire a un progetto che, invece, possa contribuire a un “disegno” del mondo in cui progettare ecosistemi diffusi attraverso strategie di condivisione. Il dialogo tra design, arte e scienze, da questo punto di vista, si fa protagonista partecipe, recettore attivo dei segnali e delle preoccupazioni del mondo, ma, soprattutto, diventa tramite per la costruzione di scenari di vita sostenibili, solidali, equi.