“Notizie false e tendenziose”, “propaganda politica”, “menzogne create ad arte da mestatori”. Un tempo, quando la politica di massa, sino agli anni Settanta del Novecento, era condotta da partiti a base ideologica, non raramente capitava di sentire rivolgere simili frasi all’avversario politico di turno.
Vi era oltretutto piena consapevolezza degli effetti deleteri che tutto ciò poteva creare. “Diffondete una notizia falsa e ripetetela in continuazione: alla fine la gente crederà che sia vera”, diceva Vladimir Ilič Uljanov, in arte Lenin, in ciò confortato, forse a sua insaputa, anche dalle teorie di un grande sociologo italiano, Vilfredo Pareto. E infine: “Un’idea falsa, ma semplice, ha molte più possibilità di esser creduta vera rispetto ad una vera, ma complessa” (Alexis de Tocqueville).
Fin qui, tutto ampiamente risaputo. Che dire però del recente affermarsi della tendenza a diffondere cosiddette “bufale” o, nell’espressione inglese, “fake news” attraverso i nuovi canali mediali?
Innanzitutto, cos’hanno di diverso le odierne fake news con le tradizionali “notizie false e tendenziose”? E c’è davvero qualcosa di diverso o si tratta in realtà dello stesso fenomeno, magari con modalità e vesti diverse?
Un po' di storia.
Nel passato, per lo meno nel Novecento, il fenomeno riguardava, come si è visto, soprattutto la sfera della polemica e della lotta politica. Erano i vari partiti politici, con i loro uffici stampa e propaganda, con i loro giornali, a ricorrere in certi casi all’arma della disinformazione per ottenere consensi a proprio favore.
Con l’avvento della Tv e dei canali nazionali, la propaganda politica dei partiti vide progressivamente prosciugarsi l’acqua nella vasca in cui aveva nuotato sino ad allora, cioè l’ideologia politica. I telegiornali nazionali tolsero ai partiti la tradizionale funzione di comunicazione politica. Le masse impararono a dare alle notizie politiche della Tv molto più credito rispetto a quelle di certa stampa schierata politicamente, sebbene non tutti i quotidiani, ovviamente, fossero da considerare poco attendibili: ve ne erano, e ve ne sono per fortuna ancora oggi, molti che facevano e fanno ottima informazione.
“Lo ha detto la TV”; “L’ho sentito in TV”, costituiva un sigillo di credibilità della notizia, e in effetti così era: un canale nazionale con decine di milioni di telespettatori non poteva certo permettersi di diffondere notizie che non fossero strettamente verificate e assolutamente certe. Tutto il periodo che va dall’avvento della Tv (anni Cinquanta) sino a quello del Web (fine anni Novanta), conobbe quindi un progressivo declino della disinformazione e della propaganda politica.
Oggi purtroppo quel problema, uscito dalla porta della Tv, è rientrato dalla finestra del Web. Non è in fondo difficile comprenderne i motivi. Con la moltiplicazione di miriadi di siti, di blog, di gruppi sui social network, a chiunque è stato dato il “potere” di diffondere informazione, senza, al contempo, dover rispondere a forme stringenti di controllo e di verifica. Inoltre, se in passato il fenomeno riguardava essenzialmente la polemica e la lotta politica, oggi esso, oltre ad essere ritornato (via internet) ad occupare di nuovo quella sfera (le ideologie di ieri vengono sostituite dal populismo di oggi, di destra o di sinistra), si è però esteso in generale anche a tutti gli altri campi e settori di interesse pubblico: dall’economia alla cronaca (l’attacco alle Torri gemelle sarebbe stato ordinato da Bush), allo spettacolo, dalla salute (la vergogna delle notizie false sui vaccini), allo sport, dal tempo libero a tutto il resto.
Ma perché vengono diffuse false notizie? Le cause sono molte, e non ci sarebbe qui possibile passarle tutte in rassegna. Cercheremo di indicarne le principali.
Vi è innanzitutto un motivo di puro guadagno economico da parte dei siti che le diffondono. La cosa è molto semplice. Poiché un sito ottiene guadagni pubblicitari tanto più elevati quanti più sono i “click” che vengono effettuati all’interno di esso, il gioco è facile: si suscita la curiosità dei navigatori attirandoli su schermate che, alla notizia falsa, affiancano banner e “cookies” pubblicitari.
C’è, in secondo luogo, un motivo di ordine più squisitamente sociologico. Vivendo nell’”età dell’incertezza”, assistiamo oggi alla nascita di “nuove religioni” in grado di offrire nuove certezze. Essendo in forte calo, per lo meno in occidente, le religioni antiche, emergono i nuovi “sacerdoti”, e i nuovi “fedeli”, di credenze e fedi molto più terrene. Sia chiaro: tutte rispettabilissime e degne del massimo rispetto per i valori di cui sono portatrici. Sennonché, capita che a volte la devozione dei fedeli superi quel sano scetticismo che dovrebbe portare a dubitare di notizie o informazioni di cui non si è accertata la provenienza. Ecco quindi spuntare siti, gestiti da questi nuovi, spesso improvvisati sacerdoti, che propongono i rimedi più diversi per ogni tipo di problema. Fino a quando non si legge la notizia, stavolta vera (su un serio quotidiano nazionale), della tragedia di una coppia di genitori che ha perso il bambino per denutrizione.
Ci sono ancora, più prosaicamente, cause del fenomeno legate al narcisismo, alla vanità, alla civetteria di coloro che cercano di attirare l’attenzione su di sé inventando, deformando, distorcendo notizie.
Infine, va citato un fenomeno in forte ascesa, che provoca anch’esso conseguenze per la quantità di notizie false che vengono così diffuse. Stiamo parlando delle teorie del complotto. Teorie, appunto, non certo scientifiche, ma solo teorie. La teoria per cui l’uomo non sarebbe mai sbarcato sulla luna, oppure la teoria, già citata, sull’attacco alle torri gemelle o, nuovamente, quelle sui vaccini. Questo fenomeno, in aumento, è probabilmente dovuto alla crisi di fiducia nelle istituzioni tradizionali che serpeggia da tempo nelle società occidentali. Esso corrode lentamente le basi della “costruzione di senso” che tutti noi contribuiamo a dare al nostro vivere associato, e mina alle fondamenta quella risorsa fondamentale per il buon funzionamento di una società, che è appunto la fiducia reciproca.