«Per uscire dalla crisi, l'Anm deve passare attraverso un grande lavoro di riqualificazione complessiva, che purtroppo, come spesso accade, deve partire da tagli. La cosa importante è che siano i più efficienti possibili. I napoletani e i dipendenti dovranno avere pazienza. Per qualche anno prevedo tempi duri per i trasporti. Ma mi auguro sia l'ultimo atto, prima del rilancio di un'azienda storica, che possa diventare di qualità». Non ha dubbi Armando Cartenì, docente di Pianificazione dei Trasporti dell'Università della Campania "Luigi Vanvitelli".
Il risanamento passerà anche per i tagli e la revisione delle linee bus. Era inevitabile? «Un riassetto dovuto. Le linee bus di Napoli hanno grandissimi margini di efficientamento. Ci sono pullman che viaggiano con poche unità, non decine, di passeggeri al giorno. Purtroppo, c'è sempre il dilemma di quanto il diritto alla mobilità vada garantito, anche se per pochissimi. Ma per un'azienda che deve fare affidamento su performance privatistiche, credo che una linea bus debba avere un minimo di redditività per essere garantita».
Non c'è il rischio di un impatto troppo forte sulla città? «La riforma va fatta per gradi e in maniera competente. Si provi il dispositivo per qualche mese. Eventualmente si correggerà. Certo, ci sarà sempre qualcuno che protesterà, ma il bilancio si fa alla fine».
Per alcune tratte si punterà tutto sul metrò, basterà? «La linea su ferro deve essere il fiore all'occhiello della città. E lo sarà sempre di più, con la chiusura dell'anello per Capodichino. In questo quadro vedo anche la Linea 6, un'opera strategica che fa un tutt'uno con la Linea 1, e dovrebbe esserlo anche nella gestione con Anm».
L'evasione sui bus resta sopra il 50%: fenomeno inarrestabile a Napoli? «I dati vanno ponderati. In realtà, gli ultimi studi hanno accorciato la forbice Nord-Sud. Sui bus si evade di più, perché mancano le tecnologie come i tornelli e i ticket elettronici. L'unica leva è intensificare il controllo».
Resta il problema di un parco mezzi vecchissimo, con bus di oltre 20 anni. «È un tema importante. Ma tutta l'Italia ha poco da stare allegra. Il parco circolante nazionale è tra i più vetusti d'Europa. Abbiamo uno spread della mobilità molto accentuato, di 5-7 anni mediamente più vecchio dei paesi industrializzati. E il divario tra Nord e Sud è ancora più accentuato. Paradossalmente, avendo molto da rinnovare, possiamo vederla come un'opportunità. Oggi un bus inquina 6-7 volte più di un'auto. Il governo ha previsto importanti finanziamenti per svecchiare i bus pubblici. E l'occasione per puntare su mezzi ecologici, a gas, metano e elettricità».
Il 3 luglio, l'Anm presenterà il piano di risanamento al Tribunale fallimentare, che si aspetta? «Un'azienda più snella e funzionale. Da un punto di vista sociale, un'azienda pubblica che prospetta tagli di personale sembra poco vincente. Tuttavia, da tecnico, posso dire che oggi il rapporto dipendenti totali rispetto agli autisti è fuori da ogni logica di un'azienda di trasporto collettivo».
Se l'Anm si salverà dal crac cosa accadrà? «Messi a posto i conti, credo che nel breve periodo ci sarà una fase di difficoltà sia per i dipendenti che per gli utenti. Ma servirà da passaggio per il rilancio».
Che ne pensa delle proteste e delle funicolari chiuse per il boom di ammalati? «Non è una bella immagine. Ma è comprensibile: quando un lavoratore si sente minacciato, la prima reazione è la paura. Se i sacrifici saranno inquadrati in un piano strategico in cui sono evidenziate le varie fasi nel tempo, l'operazione può essere letta con maggiore fiducia».
L'ipotesi di un'apertura ai privati? «Non la escludo, ma prima bisogna rimettere l'Anm in salute, attraverso una prima fase di razionalizzazione e rinnovamento e aziendale. La situazione è troppo critica per rendere il mercato appetibile a un soggetto pubblico-privato».
Tratto dall'articolo de Il Mattino del 27 giugno 2018 di Pierluigi Frattasi