Università, anatomia di una crisi

Il Punto di Giuseppe Paolisso - Rettore dell'Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli

Lo scorso 20 settembre il ministero dell'Università e della ricerca (Miur) ha attribuito 7.4 miliardi quali Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) alle università statali e ai consorzi universitari con una serie di giudizi contrastanti da parte del mondo universitario. Per poter meglio interpretare tali giudizi è necessario però fare alcune precisazioni. In piena crisi finanziaria e in contro tendenza con quanto hanno fatto la maggior parte dei governi dei paesi Ocse, Germania in testa, i governi italiani dal 2008 al 2013 hanno tagliato il finanziamento agli atenei statali di 1.4 miliardi di curo. Questo deprecabile atteggiamento non ha certo favorito l'uscita del paese dalla crisi, anzi ne ha rallentata la soluzione. Dal 2013, quando il Ffo è stato di 6.7 miliardi, si è avuta un'inversione di tendenza raggiungendo i valori attuali con un +9% in 5 anni. Quindi la notizia positiva è che l'Ffo è ora in crescita.

Ma perché i malumori? Bisogna analizzare com'è costituito il Fondo di finanziamento ordinario per capirne le ragioni.

A) Per permettere all'università di crescere e investire, il Ffo deve cresce essenzialmente in voci non vincolate, ma se avviene il contrario (per esempio i fondi per i dipartimenti di eccellenza operazione assolutamente meritoria dovrebbero essere in più e non compresi nel Ffo) è evidente che la crescita è solo apparente, perché il differenziale non entra nella reale disponibilità degli atenei per la loro libera possibilità di sviluppo e di investimenti.

B) Una quota parte del Ffo (105 milioni) è rappresentata dal recupero della No Tax Area. Nella legge di stabilità del 2017 fu introdotto con il parere favorevole della Conferenza dei rettori un ampliamento della fascia di esenzione totale per reddito per l'iscrizione all'università per favorire un incremento del numero degli iscritti. Operazione socialmente eccellente, ma al tempo stesso fu chiesto agli atenei di quantificare il mancato introito in termini di tasse, per avere un ristoro degli stessi con fondi del ministero dell'Università. Il costo totale di quest'operazione si aggirava intorno ai 200 milioni/anno, ma il governo nel fondo di finanziamento ordinario 2017 restituì agli atenei 50 milioni. Il disavanzo generato nei vari bilanci ha obbligato molti atenei a una rivalutazione delle tasse d'iscrizione per i più abbienti con un inevitabile "malumore" da parte degli studenti. Quindi i 105 milioni di quest'anno fanno crescere il Ffo ma generano ancora un disavanzo di circa 100 milioni per la No Tax Area.

C) L'edilizia e i servizi (così come messo in luce dai recenti dati Censis dello scorso luglio) specie al Sud, rappresentano uno dei talloni di Achille degli atenei. E obbligo degli atenei migliorare i servizi agli studenti (magari anche con il contributo delle Agenzie regionali per il diritto allo studio). Tuttavia se la possibilità d'investimenti degli atenei è ridotta per l'insufficiente attribuzione di una quota di Ffo non vincolata, queste possibilità non solo sono estremamente ridotte, ma addirittura contribuiscono ad accrescere il divario Sud-Nord dove gli atenei hanno una capacita/possibilità impositiva collegata al maggiore reddito pro-capite dei propri cittadini. È quindi necessario prevedere un nuovo piano straordinario di interventi per l'edilizia degli atenei che sia aggiuntivo e svincolato dal Ffo.

D) Legare una quota parte del fondo premiale del Ffo alle politiche di reclutamento è un principio di sana meritocrazia che deve considerarsi inviolabile, ma devono esserne meglio definiti i parametri in cui si muove. Se la legge 240 del 2010 prevede che gli atenei possano scegliere per le promozioni di grado tra l'articolo 24 che utilizza solo una selezione interna quindi più limitata e con l'utilizzo di poche risorse, e l'articolo 18 che invece prevede una selezione aperta sul territorio nazionale con più scelta ma con un maggiore dispendio di risorse, poiché l'articolo 24 viene spesso utilizzato dagli atenei che hanno una carenza di risorse (punti organico), siamo sicuri che valutiamo tutti con lo stesso criterio oggettivo che permette di mettere tutti allo stesso livello? O piuttosto a chi ha meno risorse di base rischiamo di attribuire ancora meno risorse aggiuntive? Queste sono in sintesi i maggiori problemi del Ffo e i motivi dei contrastanti giudizi. E però necessario concludere che sebbene tra grandi difficoltà, la crescita del Ffo è un dato di fatto positivo e come tale deve essere accolto, anche se la necessità di alcuni cambiamenti procedurali credo sarà nei prossimi anni ineluttabile.

Tratto da Repubblica del 25 settembre 2018