Parigi, tardo pomeriggio di lunedì 15 aprile 2019: un’enorme nuvola di fumo nero s’innalza su la île de la Cité e, sotto di essa, la Cattedrale di Notre Dame avvolta dalle fiamme. Il principale luogo di culto della capitale, gioiello architettonico del gotico francese che annovera tra i suoi principali modelli anche le cattedrali di Chartres e Reims, ridotta ad un braciere ardente. Un braciere architettonico che non riscalda bensì raffredda la mente e congela lo spirito di un continente e del mondo intero. L’incendio di Notre Dame de Paris è una ferita profonda inferta non solo al tessuto edilizio parigino ma anche e soprattutto alla cultura architettonica europea. Iniziata a costruire nel 1163, consacrata nel maggio del 1182 e completata nel 1344 sotto la direzione dei lavori di Jean Ravy, architetto della cattedrale sin dal 1318, mai prima di ora, la basilica di Notre Dame aveva subito un’offesa simile, tanto lacerante e distruttiva. Una magnifica costruzione a cinque navate caratterizzata al suo interno da snelli pilastri polilobati in grado di reggere le altissime volte a crociera costolonate e protette, a loro volta, dal sovrastante tetto a falde inclinate retto da capriate lignee chiamate, per la loro densità, “la forêt”. Una fitta struttura lignea andata distrutta interamente che, ad eccezione di quella sovrastante il transetto ricostruito ex-novo nel 1860 da Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc, era collocata in sito sin dal tredicesimo secolo ed era composta anche da parti lignee più antiche, risalenti al IX secolo, appartenute al precedente impianto della chiesa di Santo Stefano, poi demolita per costruire la nuova cattedrale parigina.
L’incendio de “la forêt” di Notre Dame non ha cancellato per sempre soltanto quei legni antichi di sostegno al tetto a falde inclinate ma ha ridotto in cenere anche il germoglio più giovane e maggiormente emblematico di quella foresta pensile ovvero “la flèche”, la guglia lignea realizzata dal falegname Bellu e dagli Ateliers Monduit su disegno di Viollet-le-Duc cosi come rappresentata, nel 1856, nel suo Dictionnaire raisonné de l’architecture française du XI eau XVIe siécle. Alta quarantacinque metri e appoggiata direttamente sui quattro pilastri della crociera nel punto d’incontro tra il tetto del transetto, quello del coro e quello della navata centrale, il crollo della “la flèche”, in seguito all’incendio innescatosi nell’ennesimo cantiere di restauro della cattedrale, ha rappresentato, a livello simbolico e mediatico, l’evento maggiormente emblematico della tragedia parigina: una drammatica immagine, diffusa dai media di tutto il mondo in diretta, capace di richiamare alla mente un’altra recente tragedia avvenuta oltre oceano nel settembre del 2001 ovvero il collasso del pinnacolo di una delle due Twin Towers di New York che preannunciava la definitiva cancellazione, dallo skyline urbano, dei due altissimi simboli della modernità architettonica della città americana. Per fortuna, a differenza della tragedia newyorkese, non tutto, a Parigi, è andato perduto.
La Cattedrale di Notre Dame, dopo l’incendio, è ancora una bellissima scatola muraria che ha perso il suo tetto, sinonimo di protezione, e il suo profilo superiore, quello che normalmente si stagliava nel cielo sopra Parigi. Una scatola muraria definita morfologicamente non solo dai due torrioni laterali al portale d’ingresso ma anche e soprattutto dagli slanciati contrafforti in pietra sovrastati dai meravigliosi archi rampanti che, consentendo lo sviluppo in altezza dei muri perimetrali, sottolineano i veri caratteri d’identità strutturali e formali della fabbrica gotica. Una struttura portante, quella degli archi rampanti, che Arthur Schopenhauer, nel suo libro Il mondo come volontà e rappresentazione, paragonava alle radici pensili degli alberi d’alto fusto delle foreste tropicali. Ebbene, la spoglia scatola muraria di Notre Dame che con i suoi archi rampanti, tramite i sottostanti contrafforti, tiene ancorata la struttura lapidea al terreno dell’ île de la Cité saprà recuperare nuova linfa vitale, così come le radici pensili degli alberi della foresta tropicale, non solo dal suo terreno di appartenenza, ovvero Parigi e la Francia, bensì da tutto il mondo occidentale. Una comunità storicamente e socialmente omogenea che non può perdere una testimonianza architettonica tanto importante per la sua stessa identità che si esprime nella memoria collettiva e nella capacità di proteggere il proprio patrimonio culturale ovvero quello ereditato dal passato, tutelato nel presente, e trasferito, possibilmente valorizzato al futuro ed alle nuove generazioni. Il restauro architettonico della cattedrale parigina saprà avvalersi delle competenze disciplinari che il mondo accademico europeo detiene all’interno delle sue università e dei suoi eccellenti centri di ricerca restituendo a Parigi, prima, ed al mondo, poi, Notre Dame nella sua interezza tipologica e morfologica ponendo rimedio ad un fatale incidente che, speriamo, sarà l’ultimo della sua lunga e gloriosa esistenza architettonica.
Paolo Giordano, Coordinatore del Dottorato di Ricerca in “Architettura, Disegno Industriale e Beni Culturali” dell’Università degli Studi della Campania_ Luigi Vanvitelli.