I vulcani attivi sono per definizione pericolosi, ma attenzione va fatta anche a quelli che oramai hanno esaurito la loro propulsione eruttiva, in quanto possono diventarlo in determinate e talvolta eccezionali situazioni.
Mentre sui vulcani attivi, quando avviene un incidente, non c’è dubbio ci sia una forte componente di errore (e di colpa) da parte nostra, nel secondo caso la componente errore viene spesso a mancare e possiamo anche parlare di tragica fatalità.
Stranamente dopo l’evento esplosivo del 4 Luglio, i mezzi d’informazione, anche i social, non si sono interessati più di tanto alla morte dell’escursionista, colpito da malore mentre tentava, insieme ad un altro turista, di mettersi in salvo dalla furia del vulcano. E’ ancora più strano che nessuno si sia domandato cosa sia accaduto e come sia potuto accadere.
La domanda che avrei gradito che i media si ponessero è probabilmente se lo Stromboli sia o no un vulcano pericoloso e soprattutto se le tecnologie a disposizione siano in grado o meno di prevedere eventi eruttivi, di piccola energia, come quello del 4 Luglio, ma in grado di creare enormi disagi e nella peggiore ipotesi, uccidere.
Lo Stromboli è una delle pietre miliari della vulcanologia. E’ conosciuto sin dall’antichità come il faro del Mediterraneo e da quando l’uomo ha cominciato a solcare i mari, è attivo. Si potrebbe dire, che lo Stromboli a memoria d’uomo è il vulcano che ha accompagnato la civiltà mediterranea. Il faro naturale che accompagnava la navigazione notturna e grazie al suo fuoco eterno permetteva ai marinai di orientarsi la notte. L’isola di Stromboli è stata sede anche d’insediamenti preistorici, come quello di San Vincenzo e questo probabilmente ci permette di capire che il vulcano era spesso in fasi eruttive ”tranquille”. E l’attività stromboliana quasi certamente era legata a eventi esplosivi di bassissima energia con l’emissione di prodotti quali, scorie (brandelli di lava incandescente), bombe, ceneri e lapilli di piccole dimensioni che non superavano il perimetro dei crateri sommitali. Certamente quest’attività deve aver favorito gli insediamenti dell’epoca, dovrebbe comunque far riflettere che all’improvviso questi siano spariti e solo dopo diversi secoli l’uomo sia tornato a colonizzare l’isola.
Nel 1891 Stromboli contava 2700 abitanti ed era l’isola più abitata dell’arcipelago delle Eolie dopo quella di Lipari. A causa della fortissima esplosione del 1930 e dell’arrivo della peronospora che distrusse completamente le vigne locali (prima attività) dell’isola, nel 1951 l’isola contava solo 659 abitanti. Oggi non arrivano a 400.
In tempi più recenti, basta pensare agli ultimi anni (2002/2003 e 2007), il vulcano ha dato vita a diversi simili eventi parossistici (dove per parossismo s’intende un evento esplosivo di energia superiore, o molto superiore, alla media) che hanno eiettato prodotti vulcanici ad altezze molto basse, vicino agli insediamenti abitativi. Creando panico tra la popolazione (locali e turisti), incendi di arbusti e bassa quota e piccoli tsunami (onde anomale di piccola altezza).
Il fatto che ci sia “scappato il morto” sembra non interessare a nessuno. E a nessuno è venuto in mente di fare un minimo di chiarezza su quanto accaduto. Viviamo in un’era tecnologicamente avanzatissima, ma facciamo enorme fatica a comprendere come e soprattutto quando avvengono, alcuni eventi naturali. Dando per scontato che i terremoti non si prevedono, e non ci sono risorse affinché almeno ci si provi, gli eventi vulcanici sono più alla nostra portata. Nonostante ciò, é il caso di dirlo con chiarezza, questo tipo di attività non è al momento prevedibile e non ci sono i presupposti per farlo neanche nel breve periodo.
Lavorando su vulcani attivi da oltre 30 anni ho capito che anche con tecnologie avanzate è decisamente difficile prevederne l’attività, il come, il quando … indipendentemente dalla magnitudo dello stesso evento.
Visto questo gap conoscitivo, incolmabile al momento, sarebbe il caso invece che ci si apra alle popolazioni esposte al rischio (su tutti i disastri naturali), comunicando loro nel modo più semplice possibile quello che ci si aspetta da quel determinato vulcano. Indirizzandoli verso un utilizzo sostenibile e consapevole delle aree dove vivono. Un educazione di base sui rischi naturali manca nel nostro paese e sembrano esserci sempre meno risorse per programmi che aumentano il grado di conoscenza delle popolazioni sotto l’incubo dei vulcani.
Sarebbe anche il caso che i ricercatori, intesi come tutti coloro che lavorano sui rischi naturali, abbiano l’onestà culturale, davanti al paese e soprattutto alle popolazioni esposte ai rischi (90% del territorio Italiano lo è) di dire chiaramente che molti di questi piccoli, ma decisamente pericolosi, eventi non possono in alcun caso essere previsti. Un bagno di umiltà che farebbe bene a tutti e porrebbe gli addetti ai lavori in una situazione meno complessa e permetterebbe di lavorare in maniera più tranquilla.