Web tax, chi colpirà l'imposta sui servizi digitali

A cura di Clelila Buccico, docente di diritto tributario al Dipartimento di Economia dell'Università Vanvitelli

Non è la prima volta che in Italia si parla di web tax, misura introdotta prima dalla Manovra del 2018 e poi da quella del 2019. Dopo i due tentativi non andati a buon fine, la web tax, ovvero la tassa sui servizi digitali, questa volta entrerà in vigore, e dovrebbe diventare operativa con il decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2020. 


Il decreto interviene sulla norma introdotta dalla Legge di Bilancio 2019 che aveva abrogato la precedente web tax “imposta sulle transazioni digitali” introducendo la nuova web tax “imposta sui servizi digitali”, ma Mef, Mise e le authority delle comunicazioni, privacy e Agid avrebbero dovuto varare le regole attuative entro 4 mesi dall’entrata in vigore della legge di bilancio. In realtà i decreti non sono stati mai varati in attesa di una decisione a livello Ue. Questa volta la web tax entrerà in vigore senza alcun decreto attuativo, ma solo con le modifiche operative apportate dal decreto fiscale alla disciplina dello scorso anno.

L’imposta, secondo quanto previsto dal testo, resterà in vigore fino all’attuazione delle disposizioni che deriveranno da accordi raggiunti nelle sedi internazionali in materia di tassazione dell’economia digitale.
Il prelievo è rivolto alle multinazionali che operano nei settori del digitale, e che spostano i loro profitti verso giurisdizioni fiscali maggiormente favorevoli. L’obiettivo è quello di contrastare l’erosione fiscale tipica delle transazioni “on line” internazionali poste in essere anche in assenza di una presenza materiale dell’impresa nello Stato.

Vediamo in dettaglio cos’è la web tax, chi colpirà e come funzionerà sulla base delle ultime novità varate con la Manovra 2020.
L’imposta sulle transazioni digitali, interessa dunque le multinazionali del settore digitale.

La web tax, con un’aliquota pari al 3% del fatturato, si applicherà alle aziende con oltre 750 milioni di ricavi, di cui almeno 5,5 milioni da servizi digitali in Italia. A pagare saranno sia le imprese residenti o con stabile organizzazione in Italia e le imprese non residenti. L’imposta si applica sui ricavi realizzati nell’anno solare, a decorrere dal 2020.

Saranno la pubblicità mirata agli utenti online, la fornitura di beni e servizi venduti su piattaforme digitali e la trasmissione di dati degli utenti e generati dall’utilizzo di un’interfaccia digitale i tre ambiti di applicazione della nuova tassa.
Esclusi, invece, servizi come Netflix e Spotify. Tra le aziende target potranno esserci Google, Facebook e Amazon sui business relativi alla pubblicità come pure i servizi offerti da Alibaba, Amazon o eBay. Si teme che il prelievo possa però ripercuotersi sulle piccole e medie imprese italiane che vendono, anche oltre confine, prodotti made in Italy.

Per la localizzazione dell’operazione imponibile, si considera l’indirizzo di protocollo internet IP del dispositivo o altro sistema di geolocalizzazione, nel rispetto delle regole relative al trattamento dei dati personali.