Ritorno a scuola! Come affrontare le ansie e le paure dei nostri figli

di Roberto Marcone, Dipartimento di Psicologia - Seconda Università degli studi di Napoli

Il rientro a scuola dopo le vacanze estive per alcuni bambini può essere motivo di ansia e preoccupazione. La lunga pausa estiva, il cambiamento di ritmi e abitudini e, talvolta, un ricordo non del tutto piacevole del passato anno scolastico, possono portare il bambino (e la sua famiglia) a vivere con preoccupazione e anticipazione ansiosa l’avvicinarsi del primo giorno di scuola.
Se per gli studenti di scuola secondaria queste sensazioni sono riconosciute e le strategie metacognitive per il superamento di tale ansia anticipatoria oramai rodate, ciò può non valere per i bambini della scuola primaria: essi hanno ancora bisogno di un supporto adulto che li guidi nei primi giorni di rientro. Ovviamente, la maggior parte dei bambini e dei ragazzi vive tali momenti con un livello d’ansia normale o, spesso, con crescente curiosità e voglia di rincontrare i compagni e gli insegnanti, gli spazi e i luoghi che quotidianamente hanno vissuto fino a un paio di mesi prima. Ciò non toglie che altri bambini non riescano a vivere il momento del rientro con tale tranquillità, e questo può diventare un disagio che coinvolge tutta la famiglia.
Prima di entrare nel merito, però, è necessario sottolineare due aspetti: 1) al pari degli adulti, anche i bambini risentono del termine di un periodo di vacanza ove le restrizioni, i compiti (non solo didattici), gli orari e gli impegni sono ridotti e dilazionati, lasciando il posto al divertimento puro, allo svago, a un minor auto ed etero controllo, a una riduzione delle richieste performative; 2) ogni situazione-sistema (bambino-famiglia-scuola) andrebbe trattata e discussa specificamente. In ultimo, la scuola dell’infanzia così come i passaggi di grado in prima elementare o in prima media (conservando la vecchia dicitura) risultano essere ancor più peculiari come situazioni che diverrebbe impossibile trattarle genericamente in questa sede.
Ciò posto, è possibile comunque proporre qualche suggerimento generale su come affrontare le ansie e le paure del rientro a scuola.

 

Il ruolo degli insegnanti

Mi preme innanzitutto sottolineare l’importanza fondamentale degli insegnanti nello straordinario percorso di crescita che i bambini affrontano negli anni della prima scolarizzazione. Gli insegnanti devono essere i primi alleati dei genitori: a loro vanno rivolti dubbi e domande; a loro vanno chiesti i primi consigli e le informazioni su come realmente è nostro figlio in classe. Spesso i genitori assumono un doppio legame con gli insegnanti: da un lato gli affidano il proprio bambino, dall’altro ritengono che, però, solo loro genitori possano realmente capirlo e comprenderlo. È necessario, invece, abbandonare l’idea che nostro figlio possa stare bene solo in nostra presenza e affidarsi a coloro i quali passano con nostro figlio dalle trenta alle quaranta ore a settimana. Spesso, il bambino descritto dagli insegnanti non assomiglia a nostro figlio così come lo conosciamo a casa. Questo perché nostro figlio sta (faticosamente, e diamogliene atto) cercando di costruirsi una propria identità all’interno di un sistema nuovo, extra familiare.
Inoltre, la metodologia didattica utilizzata dalla grande maggioranza delle scuole primarie riflette ancora un’antica concezione di scuola come luogo principale di apprendimenti didattici avulsi, pretendendo da subito atti performativi che, talvolta, risultano essere eccessivamente ansiogeni per i bambini. Tale metodologia potrebbe spingere alcuni bambini verso una cattiva competizione con relativo abbassamento della propria autoefficacia. Del resto, anche in questo caso, lo scambio di informazioni tra genitori e insegnanti è strettamente legato al «Come va a scuola?»; «Ha imparato le tabelline?»; «Commette ancora tanti errori di ortografia?». Ci si dimentica troppo spesso che i primi anni di scolarizzazione sono invece fondanti per lo sviluppo delle competenze sociali, ossia dell’apprendimento di usi, regole comuni e strategie di interazione sociale che solo un ambiente extra familiare può garantire. Solo uno scambio franco e basato sulla reciproca fiducia tra genitori e insegnanti può portare e supportare l’importante percorso di crescita che stanno affrontando i bambini.

 

Il ruolo del metodo didattico

Per alcuni bambini, il metodo prettamente didattico-performativo offerto dalla didattica tradizionale può risultare “antipatico” e frustrante, facendo nascere in questi la voglia di non andare a scuola o l’ansia anticipatoria dovuta alla preoccupazione di doversi recare in un luogo ove, da subito, è richiesto un atto performativo giudicante. Invero, esistono tante altre scuole pubbliche con metodologie didattiche non tradizionali (il “Metodo Naturale” di Freinet, per esempio, o anche il “Metodo Montessoriano”) che possono risultare maggiormente stimolanti e meno frustranti per determinati bambini, ottenendo così risultati straordinariamente interessanti dal punto di vista dello sviluppo di tutte le competenze, ivi comprese quelle didattiche, ovviamente. Diversamente da quando eravamo piccoli noi (la scuola non si sceglieva: si andava a quella più vicino casa), oggigiorno i genitori hanno la facoltà di scegliere la “giusta” scuola che risalti i talenti e le caratteristiche del proprio figlio. Farlo è abbastanza semplice: frequentare i diversi Open-Day organizzati dalle scuole; incuriosirsi e studiare le caratteristiche che vengono proposte nei diversi Piani Triennali dell’Offerta Formativa (PTOF) da ogni singola scuola.

 

Il ruolo dei genitori

Strettamente connesso col primo punto, il ruolo parentale nel supporto e nella moderazione dell’ansia e delle preoccupazioni è fondamentale. Gli anni della scuola primaria, e ancor più gli anni della scuola dell’infanzia, rappresentano un primo reale passaggio del bambino dal mondo familiare al mondo esterno. È in questi primi anni di scuola che il bambino è chiamato ad acquisire, sviluppare e mettere in pratica le proprie competenze sociali, le proprie strategie di interazione sociale, le proprie capacità di essere con gli altri, di rispettare l’autorevolezza di figure adulte diverse dai propri genitori e, contemporaneamente, di rispettare temperamenti e personalità diverse dalle proprie nell’interazione coi pari. Il bambino inizia a costruirsi i propri spazi e a salvaguardarli. Alcuni genitori mi riferiscono che il loro figlio non racconta loro nulla della scuola e che risponde a monosillabi o si arrabbia se essi insistono col chiedergli com’è andata la giornata. Ciò che spiego loro è che, probabilmente, il loro figlio sta cercando con tutte le proprie forze di costruirsi uno spazio privato, il primo, fatto di cose e di persone diverse da ciò che trova a casa; ovviamente questo comporta una prima iniziale difesa strenua del proprio spazio, una prima reale richiesta di indipendenza e di crescita.

I genitori devono imparare a rispettare tale implicita richiesta e indagare con molta discrezione, sfruttando la curiosità e gli aneddoti, senza insistere troppo con domande dirette. Qualora si nutrissero, invece, dubbi e preoccupazioni, come già detto, i primi interlocutori dovranno essere gli insegnanti (senza la presenza del bambino!).
Calmierare e moderare l’ansia da rientro non è cosa facile. Innanzitutto, si tende molto spesso a sminuire le ansie e le preoccupazioni espresse dal bambino. Il nobile intento genitoriale di sdrammatizzare l’importanza e il peso avvertito dal bambino si scontra con il risultato opposto: avere da parte del bambino la sensazione di non essere compresi dai propri genitori. Più che sminuire e sdrammatizzare, occorrerebbe allora fermarsi ad ascoltare più approfonditamente cosa preoccupa il bambino e farsene carico. Spesso il racconto sarà confuso, il bambino non sa bene cosa lo spaventi; spesso è ambivalente tra le emozioni positive di ritrovare un gruppo di amici e quelle meno positive di ritornare in un luogo talvolta stressante e ansiogeno. Accogliamo e supportiamo questa preoccupazione, suggerendo piccole strategie, chiedendo a nostro figlio di raccontarci qualche episodio buffo capitato l’anno prima, qualche aneddoto che lo ha visto protagonista in positivo. Soprattutto, arricchiamo il suo racconto con nostri aneddoti personali, i nostri ricordi di infanzia, ivi comprese le nostre paure e le nostre ansie (è del tutto evidente che non ne abbiamo un ricordo così vivido, ma possiamo facilmente immedesimarci in quelle di nostro figlio, o no?). Il bambino può sentirsi immediatamente rassicurato se sa di condividere la stessa sensazione coi propri genitori, anziché sentirsi dire «Ma dài! Vedrai che poi ti passa!»; «Ma su, non è nulla!». Ricordate che non tutti i bambini sono disposti a parlare apertamente, un po’ per volontà (cfr. supra), un po’ per “confusione”. Accompagnate i loro racconti senza mai essere invasivi, senza mai pretendere maggiori spiegazioni.
Un secondo importante aspetto, a mio parere, è quello di non far vivere la scuola sulla base di premi e punizioni. Il bambino non va premiato estrinsecamente per i successi (beni materiali), né punito per gli insuccessi. Ogni nuovo apprendimento, ogni nuova conoscenza, ogni aneddoto che vostro figlio riporterà a casa dovrà essere vissuto emotivamente come importante, ascoltando qual è stata la sua esperienza e le sue sensazioni. Una cosa è mettere delle regole: «Prima si fanno i compiti e poi si gioca i videogiochi», altro è premiare estrinsecamente il comportamento adeguato «Se fai bene i compiti potrai giocare ai videogiochi». Ancor peggio sarebbe infierire su un insuccesso scolastico: niente punizioni o castighi, il bambino deve sapere immediatamente che a casa può trovare persone pronte ad accoglierlo nel successo come nell’insuccesso. Come sopra, anche in questo caso il miglior modo per stemperare è ascoltare cosa ha da raccontarci il bambino (se ne ha voglia) o, in caso di preoccupazione o dubbi, rivolgersi direttamente agli insegnanti senza coinvolgere direttamente il proprio figlio.

Tra le pratiche parentali che spesso ascolto nei colloqui con i genitori, v’è il “premio” di non andare a scuola il giorno del compleanno. Ma come? Privare il proprio figlio della possibilità di festeggiare con i propri compagni? E, contemporaneamente, insinuare a nostro figlio che il non andare a scuola è un regalo, un premio? Piuttosto, proprio con i bambini che maggiormente soffrono la quotidianità della vita scolastica, il giorno del compleanno dovrebbe essere ben organizzato in anticipo in accordo con gli insegnanti sì da farlo diventare un giorno speciale da vivere (anche) a scuola.
Legato a questo secondo punto, è bene sottolineare come il compito primario degli adulti (genitori e insegnanti) in questa situazione specifica sia quello di far vivere la scuola come un piacere e non come un obbligo. Il bambino deve quotidianamente riconoscere nell’esperienza scolastica il suo mondo: amici, adulti autorevoli, esperienze e continue nuove conoscenze. Molti genitori mi raccontano come per i propri figli «L’ha detto la maestra» diventa cassazione: inappellabile, indiscutibile. I genitori devono supportare tale convinzione, devono alimentare l’idea che gli insegnanti siano i portatori del sapere e mai insinuare nel bambino che essi siano “cattivi” e “non preparati”. Se un genitore ha un fondato sospetto sull’inadeguatezza dell’insegnante, cambi scuola, ma non insinui tale dubbio nel proprio figlio.

La scuola va vissuta in pieno, sempre: i nostri bambini devono essere presenti il più possibile, andare fino all’ultimo giorno di scuola, non uscire mai in anticipo. L’obiettivo dovrà essere questo. Solo così sarà possibile far vivere loro questa esperienza come la migliore possibile. Non sto affermando che il compito sia facile, ma non è impossibile: ho visto e conosciuto molti più bambini contenti di andare a scuola di quanti ne ho incontrati demotivati e demoralizzati. Questi ultimi avevano vissuto esperienze negative e non avevano ricevuto l’adeguato sostegno dalle figure adulte (non solo genitoriali); una volta presi in carico, nel giro di un anno la grande maggioranza di loro ha mostrato grande interesse per la scuola, vivendone appieno tutti gli aspetti positivi e imparando a gestire le frustrazioni e gli aspetti per loro meno accattivanti.

 

In sintesi:

  • Gli insegnanti devono essere i nostri primi interlocutori: parliamo con loro delle ansie e delle preoccupazioni e facciamoci consigliare ovvero stipuliamo in accordo con loro un progetto per favorire la migliore partecipazione possibile alla vita scolastica di nostro figlio.
  • Laddove possibile, scegliamo i metodi didattici che più confanno ai talenti e alle caratteristiche temperamentali e di personalità di nostro figlio.
  • Non sminuiamo mai le loro ansie: accogliamole e supportiamoli ascoltando le loro parole, dando importanza alle loro preoccupazioni. Coloriamo i loro aneddoti con la nostra esperienza di quando eravamo piccoli. Non diciamo mai «Non è nulla, non ti preoccupare», perché loro sono già preoccupati e ci stanno chiedendo aiuto.
  • Rispettiamo i loro “non detti”. Indaghiamo con cautela, senza mai essere troppo invasivi. Lasciamo che siano loro a scegliere cosa raccontarci e cosa no. Se abbiamo sospetti importanti, rivolgiamoci agli insegnanti.
  • Non educhiamoli attraverso modalità estrinseche: niente premi e punizioni. Rinforziamo le loro nuove esperienze e conoscenze facendocele raccontare nei dettagli, facendo sentir loro che hanno fatto una cosa importantissima e che noi siamo molto fieri di loro. Non puniamoli per gli insuccessi, ma supportiamo le loro difficoltà con la nostra presenza e la nostra comprensione, raccontando loro qualche episodio di insuccesso capitato a noi e di come poi sia stato risolto.
  • Inculchiamo ai bambini l’idea che la scuola è la loro esperienza di vita più bella: il premio dev’essere andare a scuola non saltarla il giorno del compleanno o perché il nonno vuole stare con il nipote.