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di Francesca Rossi
Professore Ordinario del Dipartimento della Donna, del Bambino e di Chirurgia Generale e Specialistica - Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli
E’ vero che i bambini si ammalano meno di covid? La Variante Delta è più preoccupante? Bisogna vaccinare i bambini in età pediatrica? Lo abbiamo chiesto a Francesca Rossi, docente di pediatria generale e specialistica alla Vanvitelli, in un approfondimento dedicato ai più piccini.
Si sente dire che i bambini si ammalano meno di covid. Ma questo è vero?
I bambini si ammalano di Covid ma generalmente in forma meno grave rispetto agli adulti. Numerose sono state le ipotesi per spiegare tale fenomeno. Una delle prime riguarda il recettore ACE2, il recettore che guida l'ingresso del virus nelle cellule umane, che risulta poco espresso nel sistema respiratorio dei bambini. Un'altra ipotesi sostiene che i bambini abbiano un sistema immunitario più “stimolato” e quindi più “pronto” a rispondere contro il Covid a causa dei numerosi contatti con altri virus e grazie all’esposizione ai numerosi vaccini obbligatori nell'infanzia. Infine, un’ulteriore ipotesi sostiene che un ruolo chiave nel proteggere i bambini dal Covid sia giocato dalla “immunità innata”, cioè dal sistema di difesa che tutti abbiamo fin dalla nascita e che nei bambini è particolarmente potente. L'immunità innata, sebbene non sia in grado di attaccare in modo selettivo i patogeni perché non si serve della memoria immunologica, ha il vantaggio di essere rapida e veloce.
Ricordiamo la sintomatologia nei bambini paucisintomatici e sintomatici.
Bambini e adolescenti presentano generalmente una sintomatologia silente o comunque lieve, con rare complicanze. Nei piccoli pazienti sintomatici, la febbre risulta essere la manifestazione clinica più comune, accompagnata a sintomi per lo più a carico dell’apparato respiratorio (mal di gola, tosse secca, raffreddore, dolore toracico, dispnea). Rispetto ai pazienti adulti, i casi pediatrici mostrano una percentuale più elevata di sintomi gastrointestinali quali nausea, vomito e diarrea, talvolta anche in assenza di sintomi respiratori.
Secondo un’indagine svolta dalla Società Italiana di Pediatria e dalla Società Italiana di Infettivologia Pediatrica su un campione di oltre 750 pazienti di età compresa tra 1 mese e i 19 anni, si è riscontrato che nel 82% dei casi la febbre è il sintomo d’esordio più frequente, seguita da tosse (38%), rinite (20,8%) e diarrea (16%).
Inoltre, lo studio conferma come la comparsa dei sintomi sia correlata anche all’età. Gli adolescenti hanno generalmente sintomi più simili a quelli dell’adulto, con mal di testa, alterazioni del gusto e dell’olfatto, vomito, dolore al petto, mentre i bambini più piccoli si possono infettare ma in modo per lo più asintomatico o paucisintomatico
La polmonite è uno dei possibili risvolti del covid negli adulti. E nei bambini?
La polmonite interstiziale può verificarsi anche nei bambini ma con modalità e soprattutto con gravità differenti rispetto agli adulti. Uno studio recente ha dimostrato, infatti, che l’infezione COVID-19 raramente impatta sulla funzionalità polmonare dei bambini e degli adolescenti. Problema più rilevante, invece, in questa fascia di età, sembra essere la pericardite.
Variante Delta, i bambini risultano molto colpiti?
La variante Delta non ha cambiato la storia dell’infezione da Covid nei bambini, ma essendo molto più contagiosa della versione precedente e visto che i bambini, diversamente dagli adulti e dagli adolescenti (> 12 anni), non sono vaccinati, circola moltissimo in questa fascia di età. Il rischio reale è che circolando tanto aumenti la possibilità dell’insorgenza in futuro di una variante più aggressiva, non solo dal punto di vista della contagiosità, anche tra i bambini.
Quali sono gli effetti del covid sui bambini a lungo termine?
Solo il tempo ci permetterà di rispondere in modo chiaro ed esaustivo a questa domanda. I dati riportati, ad oggi, in Letteratura sull’incidenza del “Long Covid” fra i bambini sono pochi e contrastanti. In uno studio italiano pubblicato su Acta Paediatrica si parla di una elevata incidenza del “Long Covid” anche fra i bambini: più di un terzo del campione analizzato presenta uno o due sintomi persistenti a quattro mesi o più dall'infezione, ed un altro quarto presenta tre o più sintomi. Insonnia, astenia, mialgie e sindrome simil-influenzale sono quelli più comuni, in modo simile a quanto osservato nelle popolazioni adulte. Uno studio più recente inglese, invece, mostra un’incidenza nettamente inferiore del “Long Covid” fra i bambini, non superiore al 10%. Per chiarire l’incidenza e soprattutto la natura degli effetti a lungo termine del Covid nei bambini, nella maggior parte delle strutture pediatriche operanti sul territorio nazionale sono stati attivati ambulatori dedicati al follow- up dei bambini e degli adolescenti che hanno avuto un infezione da Sars-Cov2. Attualmente gli effetti a lungo termine del Covid in questa fascia di età sembrano avere poco a che fare con danni di tipo polmonare, cardiologico o neurologico riportati negli adulti.
Ovvero?
Gli effetti a lungo termine del Covid nei bambini e negli adolescenti ad oggi accertati sono, infatti, soprattutto di tipo psicologico. Depressione, ansia, irrequietezza, chiusura , rabbia, solitudine sono aumentati in maniera esponenziale tra i giovani dall'inizio della pandemia. Gli accessi ai pronto soccorso, così pure i ricoveri per disturbi neuropsichiatrici sono incrementati di circa l’80% , come riportato in uno studio della Società Italiana di Pediatria. La noia, la sedentarietà, avvertita dai bambini durante il lockdown , hanno aumentato il tasso di sovrappeso ed obesità. La perdita del lavoro di milioni di genitori ha accentuato le disuguaglianze sociali e culturali.
Come si può arginare tutto questo?
Incrementare la copertura vaccinale è quindi fondamentale per evitare nuovi lockdown e per frenare i disturbi neuropsichiatrici, i disturbi alimentari, le disuguaglianze sociali e culturali nei nostri bambini.
Cosa accade se un bambino contrae il covid in forma grave?
In Italia il numero di decessi in età evolutiva dovuti al Covid è contenuto, su 723mila soggetti di età inferiore a 18 anni colpiti dal virus ci sono state in tutto 32 vittime. Numerosi sono stati i casi di forme gravi che hanno necessitato di cure intensive, in particolare a causa dell’insorgenza della Mis-C, una sindrome infiammatoria multisistemica che può verificarsi da 2 a 6 settimane dall’infezione da SARS-CoV-2 nei bambini e negli adolescenti e che nella fase iniziale della pandemia è era stata confusa con la malattia di Kawasaki. I sintomi e i segni di questa temibile malattia sono rappresentati da febbre persistente (> 38 °C), stato infiammatorio sistemico con aumento degli indici di flogosi, leucocitosi neutrofila, linfopenia e disfunzione d’organo, unitamente all’evidenza laboratoristica o epidemiologica di infezione da SARS-CoV-2 ed esclusione di altre cause microbiologiche.
Il grado di trasmissibilità del covid tra i bambini è lo stesso di quello che si verifica tra gli adulti?
È stata una delle domande più importanti e più discusse fin dall’inizio della pandemia e per cui ancora oggi non abbiamo una risposta definitiva. Alcuni mesi fa, uno studio pubblicato su una prestigiosa rivista internazionale, Jama Pediatrics, ha evidenziato come i bambini al di sotto dei cinque anni possano ospitare nel naso e nella gola livelli di RNA virale uguali e persino superiori a quelli degli adulti. Al contrario, un più recente studio canadese sembra, invece, dimostrare una ridotta infettività dei campioni virali isolati dai bambini rispetto a quelli isolati dagli adulti.
Probabilmente i bambini, in particolare quelli più piccoli, non sono “superdiffusori” di SARS-CoV-2 come lo sono per altri virus, tra cui quello dell’influenza. L’insorgere di varianti che si diffondono più rapidamente, insieme all’aumento dei tassi di vaccinazione tra gli adulti e gli adolescenti, però, potrebbero ben presto fare diventare i bambini estremamente più rilevanti per la diffusione del contagio.
Con la riapertura delle scuole i contagi sono destinati ad aumentare?
Al momento non si è registrato un aumento dei casi di Covid dopo il ritorno in classe, ma ovviamente la situazione va monitorata ancora per qualche settimana. Nell’anno precedente abbiamo osservato limitati contagi all’interno delle scuole dove vengono osservate tutte le misure di sicurezza sanitaria raccomandate. La maggior parte dei contagi fra i bambini, infatti, è avvenuto in ambito familiare.
Come si è espressa la Società Italiana di Pediatria in merito al vaccino in età pediatrica?
La Società Italiana di Pediatria (SIP) si è chiaramente espressa a favore della vaccinazione fra gli adolescenti e auspica una prossima disponibilità del vaccino anche per i bambini al di sotto dei 12 anni di età. Per aiutare i pediatri a guidare gli adolescenti e le loro famiglie verso un percorso vaccinale libero e consapevole, la SIP ha recentemente realizzato un poster ,oggi esposto in tutti gli studi pediatrici sul territorio nazionale, che risponde alle 8 domande più frequenti sul vaccino in questa fascia di età.
La somministrazione del vaccino COVID 19 può essere fatta anche senza specifici intervalli di tempo rispetto ai vaccini previsti dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale, servono solo i 15 giorni necessari per la valutazione di eventuali eventi avversi. Per i bambini con pregressa infezione da SARS-CoV-2 è previsto un intervallo di almeno 90 giorni tra la diagnosi di infezione e la prima somministrazione del vaccino Covid-19. La SIP, inoltre, non raccomanda la prescrizione di farmaci finalizzati alla prevenzione degli eventuali eventi avversi post-vaccino, ma sottolinea la necessità di informare i genitori circa le modalità per la gestione dei più frequenti segni e sintomi postvaccinici e le tempistiche per contattare il proprio pediatra di riferimento. Infine, tutti i pediatri sono concordi sul bisogno di ribadire con forza agli adolescenti ed alle loro famiglie il valore del continuo e costante rispetto delle norme per il contenimento e la diffusione del SARS-CoV-2, anche dopo vaccinazione.