Coronavirus, cautela o psicosi? Risponde Andrea Fiorillo, docente di Psichiatria e Presidente della Società Italiana di Psichiatria Sociale
L'OMS definisce la salute uno stato dinamico di completo benessere fisico, mentale, sociale e spirituale, non mera assenza di malattia.
Alla luce di ciò, qual è l'impatto sulla salute, soprattutto mentale e sociale, della diffusione del coronavirus?
La diffusione dell'infezione da coronavirus presenta al momento dei numeri contenuti e circoscritti sia a livello nazionale che internazionale: si parla ad oggi di un tasso di mortalità pari al 3%, dato stabile sin dall'inizio. Certo, è una patologia che si diffonde rapidamente per la mancanza di vaccini, ma non è una patologia grave di per sé. Nonostante ciò, l’epidemia di Covid-19 sta avendo un impatto sociale molto forte sulla popolazione, un impatto più sulla salute mentale che sulla salute fisica.
Con quali effetti?
Stiamo assistendo ad un aumento di patologie dello spettro ansioso come il disturbo di panico, patologie dello spettro depressivo, e patologie legate a traumi e stress. Aumentano sentimenti di tristezza, perdita di speranza verso il futuro, sfiducia verso l'altro, rabbia, frustrazione e confusione mentale. Si vive, insomma, in uno stato di insicurezza diffusa.
Parlando di quarantena, ritiene che le misure prese dal Governo possano essere state interpretate in maniera non corretta dai cittadini?
Decisamente. Il governo ha assunto un atteggiamento molto deciso, e questo è stato corretto. Tuttavia in alcune regioni vi sono state misure anche drastiche, come la chiusura di interi paesi, di attività e di eventi importanti, misure che possono essere stata percepite e recepite male da una grande fetta della popolazione generale.
E i cittadini come stanno reagendo?
In vario modo. Si stanno innescando comportamenti di evitamento sociale e di discriminazione di soggetti che presentano sintomi aspecifici come tosse e raffreddore: persone con banali sintomi influenzali vengono guardati quasi con sospetto dalle persone.
Si sta alimentando uno stato di tensione e di timore per la propagazione dell'infezione che determina una perdita di controllo, oltre a comportamenti sproporzionati rispetto alla reale gravità della situazione. Stiamo assistendo a farmacie prese d'assalto, supermercati svuotati, dilagante paura nella popolazione che si esplica anche nella riduzione anche delle attività di piacere e di svago. La gente stenta ad uscire di casa, od anche a prendere un autobus od una metropolitana per la paura di contrarre l'infezione. E la paura che sta bloccando il Paese.
Ritiene che nelle regioni ospitanti tali focolai di Coronavirus l'atteggiamento assunto dalle autorità è secondo lei adeguata all'entità del problema?
Dal punto di vista sanitario direi di sì, il ruolo della prevenzione in questo caso è molto importante: gli organi sanitari stanno facendo quanto è dovuto per arginare la rapida diffusione di tale virus.
Come si configura il ruolo dei medici in questo contesto?
Sicuramente noi medici dobbiamo stare attenti alla diffusione ed arginare l'epidemia controbilanciando quest'ultima con misure sanitarie adeguate. Ma accanto a queste deve viaggiare anche una corretta informazione: rispetto al virus, alla sua mortalità, ai rischi di diffusione e a ciò che può accadere a seguito del contagio.
Si può parlare di allarmismo mediatico?
Penso che gli organi di stampa debbano diffondere informazioni oggettive e chiare veicolando messaggi anche positivi utili al contenimento del rischio di tale infezione. Aprendo le pagine dei giornali degli ultimi giorni troviamo una continua ricerca del sensazionalismo e dell'allarmismo, pericolosa soprattutto per alcune categorie di soggetti. Riprendendo le parole di Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale dell'OMS, non stiamo combattendo un'epidemia, bensì una infodemia, ossia la diffusione di informazioni sbagliate.
Andiamo sui social. Ci sono rischi sulla salute psichica della popolazione italiana nell’utilizzo di questi strumenti?
Consideriamo che ad oggi la globalizzazione e la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa - ma soprattutto l'immediatezza degli scambi di informazioni -, stanno modificando profondamente la struttura della società moderna e quindi anche l'impatto sul concetto di salute. L’atteggiamento di paura, che è un fatto individuale o che riguarda poche centinaia di individui, viene amplificato dai social e diventa un fatto globale, che riguarda milioni di persone. Per questo motivo, leggere sui social che "il virus ci sta assediando" può creare pericoli molto seri. Le persone che hanno subito traumi recenti, che hanno un basso livello socioculturale, persone isolate o con sentimenti di solitudine, subiscono di più l'impatto dei social e dell'informazione di massa. Per queste persone, considerate sensibili, andrebbero veicolate informazioni diverse.
C’è anche da dire che spesso queste informazioni, anche se adeguatamente veicolate, vengono mal interpretate: le misure di prevenzione applicate oggi come, ad esempio, la chiusura delle scuole, vengono considerate già come un effetto della malattia e non come una misura di prevenzione.
In altre parole?
In altre parole: è giusto prevenire e stare attenti ad eliminare le possibilità del contagio, evitando - se possibile - luoghi affollati, ma, se ad esempio, è necessario viaggiare per lavoro, si deve continuare a farlo.
Un sentimento simile a quello che porta le persone a prendere d’assalto i supermercati?
Una sorta. Diciamo che si sviluppa un'amplificazione della percezione del rischio a livello sociale, per cui la popolazione generale reagisce a tali notizie in maniera eccessiva. Per fare un esempio, nel caso di eventi eccezionali - come un terremoto - la percezione del rischio è totalmente amplificata rispetto alla percezione dei rischi legati alla guida, percepito come minore, sebbene le morti per incidenti stradali si verifichino quotidianamente. Ciò significa che la percezione collettiva attuale della popolazione sul coronavirus è di estrema gravità e rischio: per questo motivo le persone mettono in atto strategie di sopravvivenza, con comportamenti che appaiono inappropriati e sicuramente eccessivi rispetto a quella che è la situazione attuale. Assolutamente sotto controllo.
La paura è un sentimento irrazionale: in quanto tale, cosa direbbe ad una persona che ha paura di contrarre l'infezione?
Tutti gli eventi nuovi, che sono per definizione imprevedibili, si associano ad una sensazione di paura e di ansia: questo è dovuto all'attivazione di alcuni circuiti cerebrali che coinvolgono l'amigdala, un'area cerebrale implicata nel riconoscimento delle situazioni nuove, così come nel circuito cerebrale alla base della paura.
E’ fondamentale dire alla popolazione di non avere paura. Non bisogna farsi prendere dal panico perché il coronavirus è una patologia a decorso favorevole. E’ necessario smussare questo clima quasi da apocalisse che non giova a nessuno, ma è soprattutto pericoloso per la salute mentale della popolazione italiana.