Tutto pronto ad Aversa per l’evento di presentazione dei lavori e delle collezioni emerse dal progetto Fashion Alive, in programma per il 4 luglio, ore 20, nel chiostro dell’abbazia di San Lorenzo ad Septimun, sede del Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale dell’Università Vanvitelli. Ad accompagnare lo show con 50 modelle ci saranno rappresentazioni di videomapping sulla splendida architettura del chiostro e video storytelling con immagini e suoni che raccontano le “storie” da cui sono emerse le capsule collection.
Finanziato dalla Comunità Europea, il progetto Fashion Alive, finalizzato alla diffusione e sperimentazione di pratiche e metodi sostenibili nell'industria della moda, è condiviso con un team internazionale che include Creamodite, Asociación para la constitución y reestructuración de empresas de moda diseño y tecnología, di Madrid, e l’Universidade do Minho, Departamento de Engenharia Têxtil, di Guimarães, in Portogallo. Diversamente dai partner internazionali, che hanno lavorato sullo zero waste e l’upcycling, l’unità della Università Vanvitelli ha affrontato il focus progettuale come occasione per dimostrare ed esprimere la sua attenzione nei confronti della storia e della memoria della propria cultura materiale, un presupposto critico non eludibile, che distingue fortemente l’Italia rispetto alla gran parte del contesto europeo.
In tal senso, il contributo scientifico e progettuale portato avanti dal gruppo di ricerca (Roberto Liberti – responsabile scientifico –, Ornella Cirillo, Vincenzo Cirillo, Chiara Scarpitti), partendo dal presupposto che la sostenibilità non abbia solo a che fare con la produzione materiale dei beni, ma attenga anche alla dimensione culturale dei prodotti, ai loro contenuti immateriali e simbolici, ha prescelto un indirizzo centrato sulla sfera etica del progetto di moda, con un focus che privilegia pratiche di upcycling – riferite a elementi dei corredi tradizionali –, le quali superano il semplice riuso e riciclo materiale del bene, per innescare un processo di upgrade capace di elevarne il valore rispetto all’originale. Nelle molteplici scale di intervento che questa pratica consente, si è dato spazio, infatti, sia a più semplici reimpieghi dei capi, leggermente modificati e migliorati, sia, e soprattutto, a radicali trasformazioni creative che hanno previsto l’utilizzo degli indumenti, o di loro parti, nella realizzazione di oggetti anche molto distanti dall’iniziale destinazione, ma, nobilitati da una traduzione contemporanea della loro provenienza. In tale maniera, disincentivando l’utilizzo di materiali vergini a favore di risorse già disponibili, si è favorito un orientamento metodologico sensibile nei confronti dei valori delle comunità locali, del lavoro dell’uomo e della conservazione delle risorse, inclusi nell’ampio alveo della sostenibilità.
Al contempo, la non ordinarietà del patrimonio tessile recuperato ha innescato indirizzi progettuali eterogenei, che vanno dall’ossequio alla dissacrazione, dal minimo intervento alla radicale manipolazione e ha posto gli studenti di fronte a esperienze progettuali concrete, impostate su un concept progettuale specifico, dalle molteplici finalità etiche e formative.
In sintesi, un progetto inteso come interprete critico della contemporaneità che decostruisce sistemi obsoleti e acquisisce come propri nuovi valori sociali, innovando la tradizione: da un lato, la sostenibilità dell’upcycling e il riutilizzo di tessuti e capi in disuso; dall’altro, approcci disruptive nei confronti dei codici classici, della femminilità, dei generi, delle gerarchie sociali, del matrimonio, della sacralità. Tende, tovaglie, lenzuola, camicie da notte, canovacci, centrini, merletti sono decostruiti e ricomposti sartorialmente attraverso tecniche di folding, drapping, moulage, patchwork, sfilacciamento, stampa digitale o manuale, tintura, biocouture e così via.
Ne è derivato, infine, un lavoro per sua stessa natura artigianale, che amplifica la suggestione dell’oggetto unico realizzato per l'interesse speciale riservato al singolo manufatto di partenza; attualizza e converte il senso della antica pratica del riuso; sovrappone il presente al passato, con un approccio analogo a quello di tanti altri designer contemporanei, contribuendo a sensibilizzare i diversi attori coinvolti verso il rispetto delle risorse e il controllo degli sprechi. Decelerazione, personalizzazione, memoria individuale e collettiva, qualità materiche, valori immateriali, fai-da-te sono stati le componenti principali del processo e il loro travaso nella esperienza progettuale dei tanti studenti il primo traguardo raggiunto.
Alla manifestazione – anticipata da una tavola rotonda che si svolgerà il 3 luglio presso la sede di Officina Vanvitelli, nel Belvedere di San Leucio –, organizzata in collaborazione con l’agenzia di model management 2Rcomunicazioni di Robert Huober, interverranno tutti i docenti e gli studenti dei Corsi di laurea in Design per la Moda e Design per l’Innovazione / curriculum EcoFashion, prestatisi anche in alcuni casi a sfilare orgogliosamente con i sorprendenti abiti creati da colleghi.